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V convegno di Greccio Giovanni da Capestrano e la riforma della Chiesa.

 
 
 
Foto Montefusco Antonio , V convegno di Greccio Giovanni da Capestrano e la riforma della Chiesa., in Antonianum, 82/4 (2007) p. 795-798 .

«De patre nostro beato fratre Joanne de Capistrano, qui fuit maximus defensor, auctor et conservator nostrae familiae, quid dicam? Hic bonus homo puto, quod per 25 annos continuos familiam rexit»: così, recisamente, Bernardino Aquilano definiva una delle colonne dell’Osservanza francescana, Giovanni da Capestrano (1386-1456). La frase del frate abruzzese, impegnato nella meticolosa ricostruzione delle vicende dell’Osservanza cismontana nella Chronica fratrum Minorum de observantia nuncupatorum (1480 ca.) può essere posta a epigrafe del V convegno di Greccio, intitolato “Giovanni da Capestrano e la riforma della Chiesa”: in quest’occasione, la vicenda del celebre frate è stata sottoposta ad un’importante e scrupolosa collocazione storiografica che ne ha dimensionato l’operato nell’ambito della riforma dell’Ordine, contestualizzata in una più generale prospettiva ecclesiologica. Il convegno si è svolto a Greccio il pomeriggio del 4 e la mattina del 5 maggio 2007 nella suggestiva cornice dell’Oasi Gesù Bambino del santuario reatino, promosso dallo sforzo congiunto del Centro culturale Aracoeli, delle Provincie dei Frati Minori del Lazio e dell’Abruzzo e della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum.

Dopo i saluti dei due ministri provinciali (fr. Virgilio Di Virgilio e fr. Marino Porcelli) e di fr. Alvaro Cacciotti del Centro Culturale Aracoeli, ha avuto inizio la seduta pomeridiana del convegno, presieduta da Edith Pàsztor, che ha introdotto le relazioni di fr. Pietro Maranesi, Marco Bartoli e Letizia Pellegrini insistendo sull’importanza della figura del frate capestranese, il quale, pur nella contrastata prosecuzione del percorso del fondatore dell’Ordine dei Minori, Francesco d’Assisi, ha espresso storicamente (e singolarmente) un disegno politico, ecclesiologico e spirituale del tutto congruo all’Europa quale era uscita – nelle sue frantumazioni e incertezze – dal Medioevo.

Pietro Maranesi ha declinato l’opera di San Giovanni nell’ambito dell’espansione e del definitivo successo dell’Osservanza francescana in un intervento dal titolo: “Giovanni da Capestrano. Identità e sviluppo istituzionale dell’Osservanza”. P. Maranesi ha proposto un percorso ermeneutico nella testualità normativa di Giovanni scandito in tre fasi. Nel periodo che va’ dalle Costituzioni Martiniane (1431) alle Costituzioni Capestranesi (1449) si consuma l’illusione di un’impossibile unità tra le due opzioni minoritiche, e si definiscono i prodromi dell’autonomia osservante. Nella polemica che ne seguì tra Conventuali e Osservanti, una tale elaborazione identitaria risultò contrastata ma vincente; infine, è risultata particolarmente decisiva, per un definitivo successo della riforma, l’insistenza sulla promozione dello studio, mosso – come dimostra il Quaresimale del 1446 e il De studio promovendo – non dalla curiositas librorum ma dal ruolo decisivo della predicazione, asse fondamentale di intervento degli Osservanti nel più generale contesto della Chiesa e della società del tempo. Il ruolo di Giovanni, attraverso lo specchio della produzione normativa, è risultato decisivo, protagonistico a livello istituzionale, ben più di quello di Bernardino da Siena.

Marco Bartoli, in un intervento dedicato al trattato De auctoritate papae et concilii (“L’ecclesiologia di Giovanni da Capestrano”) ha proposto una valutazione distesa del portato delle riflessioni di Giovanni riguardo al progetto di ricomposizione di una Christianitas frammentata sotto l’egida della Chiesa. Partendo dalla constatazione che il testo è tràdito da un codice (Biblioteca conventuale di Capestrano, cod. XI) probabilmente interamente autografo, Bartoli ha sottolineato le problematiche inerenti alla stratificazione dei fondi librarii conservati nel convento abruzzese: in essi è rilevabile la presenza di un gruppo di manoscritti che parrebbe di poter far risalire a uno scriptorium costituitosi intorno al frate, su cui varrà la pena di lavorare ancora allo scopo dell’edizione critica dei testi del capestranese. Il trattato, redatto tra 1438 e 1440, costituisce una sorta di enciclopedia con finalità pratiche (Dolcini) che vorrebbe rispondere, con caratteristica veemenza, alla domanda, di flagrante attualità nell’Europa del Quattrocento: «è possibile l’unità?». Su questo punto specifico si misura, in maniera considerevole, la grande differenza con la tradizione minoritica e più specificamente “spirituale”, probabilmente in forza di un contesto e un orizzonte europei sensibilmente cambiati. Cartina al tornasole risulta essere il rapporto con Pietro di Giovanni Olivi, che, al contrario di Giovanni da Capestrano, pone all’autorità del papato delle severe restrizioni sulla base della povertà, inquadrando la questione in maniera cospicuamente diversa dal punto di vista del suo fondamento cristologico.

In una ricca e articolata relazione, Alberto Forni e Paolo Vian hanno aperto la sessione della mattina del 5 maggio declinando e intrecciando le problematiche inerenti ai processi di canonizzazione di Bernardino da Siena (1450) e di Bonaventura di Bagnorea (1474). Il titolo dell’intervento era: “Fra Bonaventura e Bernardino: promozione alle canonizzazioni, riforma della Chiesa e identità osservante”. L’iscrizione al catalogo dei santi, sostanzialmente coeva, per due figure così differenti per la storia dell’Ordine, raccoglie in sé un vero e proprio nodo di problemi, che può essere sciolto solo alla luce del reticolo strettissimo che unisce la storia della Chiesa e il complesso e vivace dibattito tra i frati. Il caso di Bernardino, canonizzato a soli 6 anni dalla morte – con una rapidità seconda solo al caso di Francesco – si presentò complesso e particolarmente nuovo. Infaticabile organizzatore e promotore fu Giovanni da Capestrano, che seguì tutte le fasi del processo superando le difficoltà con una notevole perizia giuridica. Bonaventura, invece, venne canonizzato ben duecento anni dopo la morte. Il processo fu più lento, ma fu portato a termine grazie all’impegno di papa Sisto IV, francescano conventuale, con l’intento di avvicinare le due correnti dell’Ordine. Insomma, un processo “più curiale e astratto” che, a differenza di quello di Bernardino – del quale in parte costituiva una risposta – non ebbe alcuna influenza sulla riforma della Chiesa, ma suggellò la fama considerevole di una figura molto importante.

Sulla scorta dei suoi recenti studi sull’Osservanza “mediterranea”, Paolo Evangelisti ha proposto un intenso itinerario ermeneutico attraverso la testualità del capestranese in un intervento intitolato “Metafore cristologiche per l’etica politica. Fonti e percorsi di ricerca nei testi di Giovanni da Capestrano”. Evangelisti ha posto l’attenzione su un non piccolo gruppo di testi – tra cui un sermone De passione Christi non annoverato nell’elenco delle opere conosciute – rilevando una significativa metaforologia cha ha implementato semanticamente (e simbolicamente) la passio Christi allo scopo di sistematizzare un peculiare codice etico-politico atto alla fondazione ideologica di una societas Christiana. Mediante una straordinaria capacità di passare dalla dimensione mistico-contemplativa a quella politico-dominativa, Giovanni propone un significativo slittamento del fondamento statuale da una formulazione classico-paolina (stato come corpo) a una più nettamente minoritica (stato come corpo di Cristo). Un tale spostamento si colloca all’interno di una più generale riflessione; che si intreccia con l’etica economica francescana la quale, nel capestranese, si arricchisce nel fuoco della controversa polemica anti-ebraica, solidificata non tanto nella questione del deicidio, quanto nella definizione polemica di una incapacità, da parte degli ebrei, di comprensione dell’humilitas di Cristo, del prezzo della passione. Si delimita, così, un modello negativo rispetto alla proposta minoritica dinamizzante e caritativa, fondata appunto sulla passione. Il quadro etico-normativo si completa con la considerazione della simbologia cristica connessa all’operazione intellettuale non solo di Giovanni, ma anche degli altri Osservanti, funzionalizzata a fornire un patrimonio comunitario immateriale per fondare la respublica christiana

Edith Pásztor, nelle sobrie e lucide conclusioni, ha rilevato il fecondo intreccio che gli studiosi sono riusciti a realizzare nel rischiarare, a partire dal francescanesimo di Giovanni, un momento così complesso della Chiesa e della società del Quattrocento. Rilevando l’enorme lavoro da realizzare in special modo sui testi del capestranese, la professoressa Pásztor ha auspicato che possano riprendere le attività del Centro Studi S. Giovanni da Capestrano, che, con importanti momenti di convegni e di studio, ha permesso di portare una più congrua attenzione sul frate abruzzese. L’auspicio della professoressa Pásztor è condivisibile, poiché la biblioteca manoscritta conservata presso il Convento di S. Francesco a Capestrano abbisogna di una nuova ricognizione che proceda all’aggiornamento del censimento- inventario di p. Aniceto Chiappini, meticoloso ma datato. L’esplorazione e la descrizione dei codici, già intrapresa dal ricordato Centro Studi, permetterà una più precisa definizione dell’opera del frate abruzzese. Si tratterà dunque di predisporre non solo gli strumenti necessari all’edizione critica specialmente dell’opera predicatoria, rimasta esclusa dal meritorio lavoro di trascrizione di Antonio da Sessa, ma anche di rilevare aspetti non particolarmente cogniti di una testualità religiosa ricca e variegata. Mi preme qui segnalare il volgarizzamento della Regola del Terz’Ordine realizzata da Giovanni, che solleva problematiche interessanti quanto alla tradizione dei volgarizzamenti dei testi normativi francescani, in specie nel rapporto con il patrimonio manoscritto degli “spirituali”. Ricordo qui una versione in provenzale del medesimo testo in un importante codice, 9, della Chiesa Nuova di Assisi.  La testualità religiosa afferente al milieu laico prossimo alla contestazione rigoristica due-trecentesca sembra affiorare, a mero titolo esemplificativo, nell’interessante Codice XXI della Biblioteca abruzzese. Una maggiore definizione del corpus di questa traditio ci permetterà di collocare e delimitare con più precisione il rapporto tra questa testualità e i paradigmi teorico-normativi approntati da Giovanni in un momento così peculiare per la storia dell’Ordine.



 
 
 
 
 
 
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