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Recensione: MARY E. MILLS, Reading Ecclesiastes. A literary and cultural exegesis

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: MARY E. MILLS, Reading Ecclesiastes. A literary and cultural exegesis, in Antonianum, 80/1 (2005) p. 167-169 .

Il contenuto di questo libro di grande interesse potrebbe essere sintetizzato con la frase gridata nella famosa favola di Andersen: «Il re è nudo!». Del resto, l’autrice stessa sembra farvi cenno una volta. Il merito dello studio è quello di presentare ed applicare al libro veterotestamentario dell’Ecclesiaste, più specificamente ai prime due e agli ultimi due capitoli del libretto, una metodologia nuova ed originale che si avvale del contributo delle moderne scienze o meglio dei loro moderni orientamenti (critica narrativa e antropologia culturale) per offrirci un saggio di alto valore esemplificativo. L’autrice non è con ogni probabilità un’esegeta di professione, come lasciano intravvedere l’uso parallelo al suo discorso del testo biblico, messo a lato e visto più come mezzo che come fine d’indagine, e la scarsa dimestichezza con l’ebraico, raramente citato e in modo un po’ incerto (responsabile forse anche la stampa). Ma intento della M. non è quello di fare un commento storico-critico tradizionale né ella vuole darci un saggio di esegesi nel senso degli addetti ai lavori quali sono i biblisti. Piuttosto, vuole scoprire le carte che il biblista nasconde (inavvertitamente) quando si accosta al testo biblico, letto e interpretato di solito col metodo storico-critico e, per questo, ritenuto adeguatamente compreso e spiegato. In realtà, sia a) la teoria narratologica che b) l’ esegesi culturale mettono in crisi questa certezza, mostrando quanto una certa esegesi egemone sia un’esegesi pregiudizialmente eurocentrica e confessionale-religiosa.

La teoria narratologica, che fa da tema della prima parte dell’opera, tratta della griglia di relazioni che si crea allorché ci si accosta ad un testo biblico. Tale griglia è costituita dall’autore (intrinseco al testo), dal narratore interno, da altri eventuali personaggi e dal lettore. Tutti insieme, compreso quest’ultimo, il lettore, danno un senso a un testo e ne fanno scaturire il significato. La “sostanza” del testo è un sé (self, selfness) che deve essere previsto e rispettato, mettendo da parte la “stessità” (sameness) con la quale correntemente lo si aggredisce, imponendovi l’habitus pregiudiziale eurocentrico e borghese, e scorgendo invece nel “self” la sua “otherness” (alterità) che, soprattutto in un genere letterario come l’autobiografia (il genere fittizio dell’Ecclesiaste) è presente nel testo. Intravvedere questa “otherness”, che fa la “differenza”, cioè il surplus che rende aperto un testo, di cui parla il filosofo J. Derrida, significa dare la possibilità al testo e al lettore d’interagire, creando una sempre nuova situazione ermeneutica.

Questo risultato è discusso soprattutto nella seconda parte del libro, dove l’autrice tratta propriamente dell’esegesi culturale, cioè dell’approccio al testo nel quadro di una visuale socio-culturale. La teoria che la M. dibatte sulla scorta di autori contemporanei, filosofi, esegeti, antropologi, applicandola al Qoelet, è di una sorprendente efficacia. L’autrice toglie all’esegeta occidentale di professione l’esclusiva dell’interpretazione del testo, per far sì che questo possa essere letto anche da persone di altre culture e anche al di fuori del circuito ecclesiastico, che è poi la finalità che teologicamente ci si propone quando si tratta il testo biblico nella sua componente trascendente. Rimane in chi recensisce la perplessità se il carattere pregiudiziale dell’esegesi eurocentrica, confessionale e maschilista (la M. affronta in modo finalmente chiaro e proponibile anche questo approccio), non infici in definitiva qualsiasi interpretazione del testo e nessuna se ne salvi. Qui potrebbero ritornare utili come paletti realistici i dati dell’esegesi scientifica, che non toccano la bontà del metodo prospettato dalla M. a livello speculativo-ermeneutico, ma che possono contribuire a non ridurre un testo biblico ad una palestra di illimitati esercizi speculativi o applicativi.

Ad ogni modo, questo libro affascinante, solido e convincente è da raccomandare ad ogni biblista.



 
 
 
 
 
 
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