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Recensione: N. BUX, Il Signore dei misteri. Eucaristia e relativismo

 
 
 
Foto Garuti Adriano , Recensione: N. BUX, Il Signore dei misteri. Eucaristia e relativismo, in Antonianum, 80/4 (2005) p. 737-741 .

L’eucaristia «è la prima ad aver fatto le spese di un’idea di Chiesa non cattolica e perciò di verità relativa» (p. 135). È questa l’espressione che concentra i diversi “misteri” presentati nel libro dell’amico Nicola Bux, come del resto appare dal sottotitolo «Eucaristia e relativismo».

Il relativismo è evidente, specialmente in campo ecumenico,  se si considera che proprio l’eucaristia, il sacramento che per eccellenza realizza l’unione dei singoli al Cristo e al suo Corpo Mistico, la Chiesa, e l’unione tra di loro e tra le singole Chiese locali, di fatto, per la diversa visione ecclesiologica tra Chiesa Cattolica e Chiese ortodosse, è l’espressione più tangibile della loro divisione e, in ultima analisi, costituisce il fondamento ultimo dell’ostacolo maggiore per la prosecuzione del dialogo: il primato del Vescovo di Roma.

Come ha ben dimostrato Mons. Spiteris, la Chiesa ortodossa non possiede un insegnamento ufficiale riguardante la Chiesa, al contrario della Chiesa cattolica. In effetti nella tradizione e nella teologia ortodossa attuale, si possono individuare due grandi correnti. La prima è chiamata «protologica», in quanto fa perno sull’incarnazione del Verbo intesa come realizzazione del progetto eterno di Dio di comunicare con gli uomini in Gesù Cristo e  privilegia l’aspetto universale della Chiesa. La seconda, invece, chiamata «escatologica», insiste maggiormente sull’aspetto esperienziale della Chiesa intesa come raduno o sinassi e, pertanto, viene chiamata anche «liturgica» o «eucaristica», poiché il carattere escatologico della Chiesa deriva proprio dal suo essere liturgica-eucaristica, che rispecchia le ultime realtà (cf. J. SPITERIS, Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, Bologna  2003, 85-89).

La diversificazione più evidente tra le due visioni consiste nel fatto che quella protologica permette di concepire la Chiesa universale come una realtà concreta ontologicamente e temporalmente  preesistente alle chiese locali, mentre in quella escatologica od eucaristica si punta l’accento sulla Chiesa locale. Questa distinzione è tutt’altro che marginale. Se nella Chiesa locale si realizza l’unica Chiesa fondata da Cristo, che si identifica con l’unico corpo dell’unico Cristo, la Chiesa cattolica è ogni Chiesa locale che ha la pienezza della comunità eucaristica. Ed è proprio in questa sottolineatura accentuata della realtà della Chiesa locale che si manifesta il relativismo dell’ecclesiologia ortodossa, presente anche nei documenti del dialogo cattolico/ortodosso.

Ora, è vero che tale visione eucaristica della Chiesa è una prospettiva partecipata da cattolici e ortodossi. Per quanto sviluppata principalmente in ambito ortodosso, essa è una realtà attestata dalla Scrittura e da tutta la tradizio­ne, ripresa anche da parte cattolica, soprattutto a partire dal Vaticano II, che definisce la partecipazione piena e attiva alle medesime celebrazio­ni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, «la principale manifestazione della Chiesa» (SC 41), per cui la Chiesa universale è presente in tutte le Chiese particola­ri. Analogo riconoscimento si riscontra nei più recenti documenti del Magiste­ro: ad esempio, la Lettera Communionis notio afferma che la comunione ecclesiale «ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia», la quale «è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma essenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo» (n. 5).

È altrettanto vero che l'Eucaristia fa la Chiesa, nel senso che in ogni celebrazione locale dell'Eucaristia si attua e si realizza la Chiesa nella sua realtà sia locale che universale, ossia che la Chiesa esiste nella storia come Chiesa locale o come comunione di comunità eucaristi­che unite intorno al loro vescovo, che rendono presente la Chiesa universale, non per una specie di somma delle singole realtà, ma perché in ciascuna si realizza la presenza della Chiesa apostolica.

Si deve tuttavia evitare una eccessiva e distorta accentua­zione della presenza della Chiesa in ogni comunità che celebra l'Eucaristia, per non correre il rischio di una specie di presunzione, esclusa dal Vaticano II, di autocostituzio­ne e di autosuffici­enza della Chiesa locale, con la conseguente contrap­posizione tra Chiesa locale e Chiesa universa­le, che finisce per sminuire l'importanza dell'unità visibile della Chiesa. Al riguardo l’allora Card. Ratzinger aveva affermato che «dall’importanza dell’ecclesiologia eucaristica consegue quell’ecclesiologia delle Chiese locali, che è tipica del Vaticano II e che rappresenta il fondamento interiore, sacramentale, della dottrina della collegialità», precisando però che il Concilio «non dice semplicemente “La Chiesa è completamente presente in ogni comunità che celebra l’Eucaristia”, ma formula invece: “La Chiesa è realmente presente in tutte le comunità locali di fedeli conformi al diritto, che in unione coi loro pastori… si chiamano chiese”. Due elementi sono qui importanti: la comunità deve essere “conforme al diritto” per essere Chiesa, ed essa è conforme al diritto “in unione coi pastori”… Perciò l’unità reciproca delle comunità che celebrano l’Eucaristia non è un’aggiunta esteriore all’ecclesiologia eucaristica, bensì la sua condizione interna: solo nell’unità c’è l’uno. Per questo il Concilio richiama la responsabilità propria delle comunità, ma esclude ogni loro autosufficienza» (Chiesa, ecumenismo e politica,Cinisello Balsamo 1987, 14-16). 

Le stesse Chiese ortodosse non sono così unanimi nell'iden­ti­ficare la Chiesa con l'Eucaristia e nell'accettare l'ecclesi­ologia eucaristica, che significa invece una novità anche per la stessa ecclesiologia ortodossa, nella quale tradizionalmente l'universa­lità della Chiesa ha occupato un posto centrale. Si denuncia pertanto il rischio dell'isolamento o dell' indi­pen­den­za della Chiesa locale rispetto alle altre; e non sono mancati, anzi sono tuttora in atto, tentativi di superare la visione di una Chiesa locale chiusa in se stessa, con l'apertura verso una visione cattolico-universa­le. Resta però ancora da chiarire il vero significato della pienezza ecclesiale delle Chiese locali.

Nonostante le assicurazioni contrarie, se ne ricava l’impressione che tale sottolineatura sia unilaterale e finisca,             sotto l'influsso di alcuni teologi ortodossi, per privilegiare la realtà della Chiesa locale, con il conseguen­te rischio di frammenta­re l'unità della Chiesa attraver­so il plurale delle Chiese.

Si tende infatti a sminuire la realtà della Chiesa universa­le, concepita come una realtà "successiva" (non "priorità ontolo­gica"), quasi risultante da una confedera­zione di Chiese locali, che insieme costitui­scono l'unica Chiesa di Cristo. La Chiesa fondata da Cristo è invece la Chiesa univer­sale, che si esprime e si manifesta nelle Chiese locali, le quali non sono sopra la Chiesa universa­le, né questa è l'esito della loro somma.

Pertanto,una ecclesiologia unicamente eucari­stica, oltre che essere insufficien­te, rispecchia una visione romanti­ca e ideali­sta. Soprat­tutto, sa non tiene nella dovuta conside­ra­zione gli altri elementi essenziali richiesti affinché la celebrazione eucari­stica sia veramente un atto per eccellenza ecclesiale: l'ortodossia,senza la quale l'Eucari­stia non può edificare la Chiesa nella sua pienezza,e la comunione canonica con il proprio vescovo e con le altre Chie­se locali. Infatti,una Chiesa locale separata dalla comunione canonica universale non è una Chiesa piena, sebbene in essa sia celebrata l'Eucari­stia.

Si tratta in ogni caso di una visione ecclesio­lo­gica in aperto contrasto con la dottrina di Communionis notio, la quale riconosce che nelle Chiese locali o particolari «si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali», per cui esse sono «costituie ”a immagine della Chiesa universale e ciascuna di esse è “una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio”» (n. 7). Pertanto «è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione anche all’unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una Comunione di Chiese». Si denuncia però come unilateralità una insufficiente comprensione del concetto di comunione che indebolisce la concezione dell'uni­tà, allorché si considera la Chiesa particola­re come «un soggetto in se stesso completo» e la Chiesa universa­le come risultato di «riconoscimento reciproco delle Chiese particolari» (n. 8). La Lettera ricorda infine che il termine di comunione può essere applicato all'insi­eme delle Chiese solo in senso analogico, poiché la Chiesa  «non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari»,ma «nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamene e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare». Viene quindi affermato che le Chiese locali traggono la loro origine e la loro ecclesialità dalla Chiesa universale, con una preziosa interpretazione e integra­zione del famoso Ecclesia in et ex Ecclesiis di Lumen gentium 23 (cf. n. 9).

La conclusione viene da sé: «La riscoperta di un’ ecclesiologia eucaristica, con i suoi indubbi valori, si è tuttavia espressa a volte in accentuazioni unilaterali del principio di Chiesa locale» (n. 11), dimenticando che «affinché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita ad immagine della Chiesa universale, in essa dev’essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale “insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso”» (n. 13), deve cioè esprimere la «universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa» (n. 14).

A questo proposito, Don Nicola Bux è molto esplicito. Già in precedenti scritti egli aveva sottolineato la presenza dell’unica e universale Chiesa in tutte le Chiese particolari, grazie alla celebrazione dell’unica e medesima eucaristia e la conseguente  insufficienza di un’ecclesiologia unicamente eucaristica (cf.. Il quinto sigillo. L’unità dei cristiani verso il terzo millennio, Città del Vaticano, 1996, 122). Lo stesso pensiero viene ripreso nel nuovo libro,  innanzitutto nel contesto della trattazione del contagio operato dal relativismo delle culture nel culto cattolico, con l’affermazione generale: «Anche la Chiesa in un luogo non può essere pienamente Chiesa se resta solo locale: deve “diventare” quello che è, universale. Il sacramento attesta questa verità, perché, pur celebrato in un luogo immette nella Chiesa tout court» (p. 32). Soprattutto alla domanda: «Di quale unità l’eucaristia è sacramento?», dopo aver ricordato che è Chiesa «solamente quella realtà che ha in carica un successore degli apostoli in comunione con tutti gli altri vescovi» e che ogni altra realtà «non è Chiesa o lo è in maniera imperfetta, se non è in comunione col vescovo di Roma, o non ha un vescovo legittimamente ordinato», l’autore conclude: «L’ecclesiologia eucaristica ortodossa è un’ecclesiologia parziale perché manca del primato che indica dov’è l’eucaristia cattolica. Gli ortodossi non celebrano un’eucaristia pienamente manifestativa del mistero. Col primato del vescovo di Roma la Chiesa una è presente nelle Chiese particolari e manifesta la cattolicità dell’eucaristia» (pp. 187-188).

Una certa mentalità «relativista» si va sempre più diffondendo anche in ambito cattolico, quando si afferma che l’eucaristia è senza dubbio centro e culmine; ma è sbagliato concentrare tutto su di essa, mentre si dovrebbero sfruttare anzitutto le varie forme delle liturgie ecumeniche nei diversi tempi festivi e occasioni dell’anno liturgico, previste negli appositi «calendari liturgici».

Non mi spiego diversamente l’errore che si commetterebbe nel «concentrare tutto» sull’eucaristia, e non comprendo l’importanza dell’invito a «sfruttare» le liturgie e le diverse celebrazioni ecumeniche, nelle quali è difficile vedere un incremento del dialogo per superare le divergenze sulla visione eucaristica della Chiesa e che potrebbero costituire, invece, un quieto adagiarsi sullo status quo, quando non creano equivoci. Dunque: relativismo ad extra e ad intra.

Nel recente Sinodo dei Vescovi il tema è stato semplicemente accennato, e con visioni contrapposte. Non resta che sperare che trovi le necessarie precisazioni nell’apposita Esortazione apostolica postsinodale.



 
 
 
 
 
 
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