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Recensione: ANDRÉ LEMAIRE, La nascita del monoteismo. Il punto di vista di uno storico

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: ANDRÉ LEMAIRE, La nascita del monoteismo. Il punto di vista di uno storico, in Antonianum, 80/4 (2005) p. 743-744 .

Il famoso studioso francese mette a disposizione di un vasto pubblico quest’opera di sintesi storica che ben testimonia dei lunghi studi sul campo dell’autore. In pratica egli offre un saggio di storia d’Israele alla luce della tematica della sua religione (o si dovrebbe dire meglio delle sue religioni?). L’approccio metodologico dell’autore, fondato su tre elementi: materiale epigrafico, materiale archeologico, materiale letterario, è caratterizzato dalla predisposizione piuttosto conservatrice (non è un’offesa, ma appunto una predisposizione metodologica!), che accredita una sostanziale attendibilità alle fonti bibliche e alla storia che esse narrano secondo una determinata sequenza cronologica, segnata da personaggi aventi il ruolo di pietre miliari. Così, vediamo rivalutata addirittura la teoria di A. Alt del “Dio dei padri”, come veniva da lui interpretata la religione dei patriarchi. Il discorso del L. non è però mai semplicistico, ma al contrario quasi sempre confortato dall’interpre-tazione di elementi epigrafici o archeologici. Ad ogni modo, è di tutto rispetto l’intento di mostrare la storia evolutiva del monoteismo ebraico dalle origini al suo estremo sviluppo. Lo jahvismo, sua forma originaria, sarebbe provenuto da una località montana (l’Horeb) nel deserto meridionale tra il Sinai e la Palestina (Madian), e avrebbe avuto come suo primo mediatore il Mosé dell’epopea dell’esodo. Una lunga linea congiunge questa fede religiosa al sacerdozio di Aronne-Eli-Ebiatar e alla storia dell’inizio della monarchia, durante il quale David avrebbe favorito l’estendersi di tale fede con l’introduzione a Gerusalemme dell’arca. Tra vicende alterne, in particolare tra situazioni di conflitto tra il baalismo e lo jahvismo, passando per le riforme dei re Ezechia e Giosia, lo jahvismo avrebbe acquisito sempre più una sua fisionomia di religione monolatrica e aniconica, ma non ancora monoteistica. A questo traguardo si arriverà con l’esperienza dell’esilio, uscendo cioè dai confini della terra di un dio nazionale e confrontandosi, nel tempo, fin nell’era ellenistica, con una molteplicità di popoli e fedi disseminati su larga scala territoriale. La monolatria jahvista diviene così sempre più un monoteismo universalistico, il cui primo assertore sarebbe stato l’autore anonimo del Deutero-Isaia. Diventando però un monoteismo di questo tipo, lo jahvismo come tale sarebbe arrivato al capolinea nel 70 d.C.. È l’epoca del monoteismo giudaico e di quello cristiano (più tardi si sarebbe avuto in modo indiretto quello islamico).

Come si può notare, la cavalcata che ci fa fare il L. è ampia, intensa e ricca di suggestioni e di punti che si vorrebbe discutere, ma ciò ci porterebbe fuori dai limiti tematici del saggio, che in ogni caso va accolto con gratitudine.



 
 
 
 
 
 
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