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Recensione: Moro Caterina, I sandali di Mosè. Storia di una tradizione ebraica

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Moro Caterina, I sandali di Mosè. Storia di una tradizione ebraica, in Antonianum, 87/2 (2012) p. 396-397 .

Questo studio monografico presenta due aspetti interessanti, uno nell’ordine della metodologia e l’altro in quello dei contenuti. Entrambi gli aspetti servono all’autrice per svolgere un tema di un certo rilievo sia per i biblisti che per gli orientalisti: cercare di ricostruire la figura di Mosè, non limitandosi al solo testo biblico, ma facendo intervenire ed incrociare tra di loro anche altre tradizioni giudaiche, greche e rabbiniche. Data l’acribia analitica dell’Autrice, ella vuole fermarsi in questa sua ricostruzione alla giovinezza di Mosè, ovverosia prima che egli intraprendesse la sua “carriera” di eroe liberatore; da qui il titolo “i sandali di Mosè”, intendendo con ciò il limite della sua trattazione, che termina prima che Mosè si tolga i sandali davanti alla teofania del roveto ardente.

La Moro fa una selezione delle fonti alle quali attinge, suddividendole in una triplice area: a) storie extrabibliche più antiche (Ecateo di Abdera, Manetone, Ezechiele Tragico); b) racconti sempre extrabiblici che, pur contenendo motivi assenti nel testo biblico, conservano tuttavia un’affinità con esso, tanto da poter assumere la denominazione di “Bibbia riscritta” (Libro dei Giubilei, Libro delle Antichità Bibliche, Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, ecc.); c) infine, letteratura midrashica e tardo-rabbinica.

Sulla base di queste premesse, l’autrice dipana la sua ricerca in cinque capitoli che trattano rispettivamente: 1) della preistoria del motivo in questione; 2) della nascita di Mosè; 3) del contributo di autori non ebrei (Manetone); 4) del giovane Mosè; 5) del tema della salvezza dei bambini coetanei di Mosè.

La trattazione di questi cinque temi è ricca di spunti, di richiami, di sinossi, di appelli anche a fonti al di là delle tre aree previste, giacché la Moro attinge pure a documentazione mesopotamica ed egiziana. La peculiarità dell’indagine sta nel voler mostrare come s’intreccino tra loro tradizioni mitografiche ed antropologico-religiose, che vengono fatte saltellare dall’autrice come pesci appena pescati in una grande rete. Una babele di riferimenti incrociati tra letterature disparate nel tempo e nello spazio, che pongono il lettore di fronte a un semplice dato di fatto: i racconti biblici vanno immersi in un più vasto ambito storico-culturale, quando si vuole venire a capo della loro origine e consistenza storica e semantica.

Naturalmente l’Autrice, con questo suo studio, esula dal considerare la funzione ultima o attuale che i singoli episodi biblici hanno nell’insieme finale del grande racconto esodico e che è oggetto di un’analisi ormai pluridecennale da parte dei biblisti, a molti dei quali il lavoro della Moro relativamente al materiale adoperato dai redattori finali farà da buon supporto.

Due piccole osservazioni critiche. La prima riguarda la congerie a pioggia di dati non sempre tutti utili o metodologicamente coerenti con lo scopo di una trattazione (mescolanza di antropologia religiosa ed analisi filologica; chiamata in campo di fonti appartenenti a tempi e contesti diversi: la nascita di Sargon e la citazione del Talmud). La seconda osservazione è che si sente la mancanza di un elenco bibliografico.



 
 
 
 
 
 
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