Inicio > Publicaciones > Morales Rios Jueves 21 Noviembre 2024

Datos sobre la publicación:
Recensione: Dunn D.G. James, Cambiare prospettiva su Gesù: Dove sbaglia la ricerca sul Gesù storico

 
 
 
Foto Morales Rios Jorge Humberto , Recensione: Dunn D.G. James, Cambiare prospettiva su Gesù: Dove sbaglia la ricerca sul Gesù storico, in Antonianum, 87/4 (2012) p. 804-807 .

Il libro è frutto di diversi anni di ricerca e di conferenze (tra gli anni 1999 e 2004) e, nel contempo, costituisce la sintesi della sua importante opera Gli albori del cristianesimo: La memoria di Gesù (originale inglese del 2003, traduzione italiana della Paideia, anni 2006-2007). È necessario, di conseguenza, che il lettore non perda dal suo orizzonte di lettura il carattere del libro – è un riassunto – e per i necessari approfondimenti si rivolga al primo volume in tre tomi appena indicato.

La parte propriamente costitutiva del libro comprende tre capitoli: (1) «La fede delle origini: Quando la fede divenne una componente della tradizione di Gesù?» (p. 16-39); (2) «Dietro ai vangeli: Che cosa significava ricordare Gesù nei primissimi giorni» (p. 40-65); (3) «Il Gesù caratteristico: Dall’esegesi atomistica agli elementi costanti» (p. 66-91). Il libro si chiude con una lunga appendice (p. 92-145: «Modificare l’impostazione predefinita: Ripensare la prima trasmissione della tradizione di Gesù»), che è la riproduzione di un articolo dello stesso Dunn, pubblicato in NTS (2003) e funge da sfondo, soprattutto al capitolo 2, come viene indicato dallo stesso autore a p. 42, nota 1.

L’autore è ben consapevole di un problema che è comune agli studi dei vangeli sinottici e alla cristologia per quanto riguarda la ricerca del «Gesù storico »: indagare e trarre conclusioni da documenti letterari (= scritti) e quindi fissati in modo permanente – ad esempio, Marco e «Q» – misconoscendo totalmente il periodo orale precedente e che era ancora in atto assieme a tali documenti scritti. Detto in altre parole: tra Gesù e la fissazione per iscritto ci sono all’incirca venti anni d’attività orale, che per la ricerca è un «vuoto» che aspetta ancora l’interessamento degli studiosi. Lo scopo dell’autore è quello d’iniziare a colmarlo (cf. p. 61-62).

È necessario indicare alcuni principi basici che aiutano alla comprensione del lavoro di Dunn: (1) «Siamo tutti figli di Gutenberg [e di Caxton]» (p. 40.96), nel senso che il «paradigma letterario» è l’«impostazione predefinita» della nostra cultura.

Non più l’ascolto e il tramandare oralmente, ma la biblioteca e l’affidabilità di ciò che si legge; il paradigma letterario è tuttavia inadeguato per affrontare la tradizione orale (cf. p. 42-48). Si richiede, di conseguenza, uno sforzo serio per studiare questa tappa precedente; senza la sua comprensione non si potrà mai arrivare al Gesù reale. (2) La valutazione dell’insieme della ricerca sul Gesù storico non può essere che negativa: «Sono in ogni caso convinto che le ricerche precedenti abbiamo fallito perché sono partite dal punto sbagliato e da presupposti sbagliati, e hanno considerato i dati pertinenti da una prospettiva sbagliata» (p. 16).

Dagli errori indicati dall’autore, vorrei evidenziarne due: (a): «l’errore che sin dall’inizio ha pervertito la ricerca del Gesù storico: il presupposto cioè che il Gesù storico doveva essere differente dal Gesù che suscitava la fede» (p. 33); (b) la falsa disgiuntiva tra il «Gesù della storia» e il «Cristo della fede» indusse a «presupporre che la fede fosse un ostacolo alla ricerca, qualcosa che doveva essere rimosso se il ricercatore voleva acquisire una visione chiara del Gesù storico» (p. 66); in questo modo, si perse l’unica via percorribile, vale a dire: «capire l’effetto avuto da Gesù nel suscitare la fede in coloro che chiamò al discepolato» (p. 39); (3) I metodi storico-critici, in modo particolare la critica della redazione e delle forme, hanno favorito l’esegesi atomistica, la ricerca della forma pura e del detto singolo e da essi hanno preteso la costruzione ideale di un Gesù certamente falsato. L’adeguata comprensione dell’attività orale, per converso, permette sia d’individuare i naturali raggruppamenti di materiale – ad esempio di parabole, di miracoli, ecc. – (p. 58), sia di «spostare l’obiettivo dell’indagine dal Gesù peculiare e diverso al Gesù caratteristico» (p. 73-74), passare dunque dall’imbarazzo che ha creato la giudaicità di Gesù alla sua imprescindibile considerazione (p. 67-80).

I tre capitoli costituiscono un itinerario coerente nella proposta dall’autore.

Nel primo capitolo l’autore considera la fede delle origini, intesa come l’impressione e l’influenza che Gesù esercitò sui primi discepoli, che cambiò la loro vita in modo decisivo e motivò in loro la risposta di adesione di fede, benché questa non fosse ancora pasquale. Da questo primo effetto deriva tutto il resto (p. 25-26). Soltanto «– ed ecco la mia tesi – questo Gesù e accessibile al ricercatore» (p. 39); Il secondo capitolo è dedicato all’approfondimento del fenomeno della trasmissione orale in una società che, come quella galilaica, era prevalentemente analfabeta. L’autore elenca cinque tratti caratteristici della tradizione orale (cf. p. 53-62; anche a p. 109-116): (1) «un’esecuzione [performance] orale non è uguale alla lettura di un testo letterario»: l’insegnamento e il ricordo hanno luogo tramite l’ascolto delle tradizioni orali; (2) «la tradizione orale ha essenzialmente carattere comunitario»; (3) «nella comunità orale ci saranno state una o più persone cui si riconosceva la responsabilità principale di conservare ed eseguire la tradizione della comunità», tali persone erano «una biblioteca di consultazione itinerante»; (4) «la tradizione orale sovverte l’idea(le) di una versione “originaria”», vale a dire l’evento originatore viene «narrato e rinarrato in versioni diverse fin dall’inizio»; (5) «la tradizione orale è per sua natura tipica […] una combinazione di fissità e flessibilità, stabilità e diversità». Con l’autore si può concludere: non si nega il nesso letterario tra i vangeli sinottici, «ma non si può sfuggire alla presunzione di oralità per la prima fase della trasmissione della tradizione gesuana» (p. 62). Nel terzo capitolo, l’autore risponde ad una fondamentale domanda: ciò che ha detto nei due primi capitoli, «che cosa dice […] di Gesù stesso?» Detto in modo positivo: solo una seria considerazione della fase orale della tradizione di Gesù permette di arrivare al Gesù reale, obiettivo mancato soprattutto delle due prime fasi della ricerca sul Gesù storico. L’autore adotta come punto centrale quello di Keck: «anziché il Gesù peculiare si dovrebbe piuttosto cercare il Gesù caratteristico» (p. 80) e come criterio «qualsiasi aspetto che sia caratteristico nella tradizione di Gesù, anche se solo relativamente peculiare di tale tradizione molto probabilmente risale a Gesù, nel senso che riflette gli effetti che in origine ebbero l’insegnamento e le azioni di Gesù quantomeno su diversi suoi primi discepoli» (p. 81). I tratti caratteristici considerati dall’autore sono (cf. p. 82-89): la giudaicità di Gesù; la maggior parte della sua missione svoltasi in Galilea; la predicazione di Gesù sul dominio regale di Dio; l’uso delle espressioni «Figlio dell’uomo» ed «Amen»; l’inizio della tradizione di Gesù nella missione di Giovanni il Battista e, infine, il motivo del giudizio. Tutti questi tratti aiutano a costruire un’immagine veritiera e affidabile del Gesù reale (cf. p. 89-90).

L’opera è, senza dubbio, una valida provocazione agli studiosi dei Vangeli sinottici e a tutti quelli che si occupano dei problemi relativi al Gesù della storia/ al Gesù reale. È meritevole lo sforzo dell’autore per stabilire criteri e offrire modelli atti a penetrare tanto in quegli anni di buio della cosiddetta fase orale delle tradizioni relative a Gesù e ai suoi primissimi discepoli, quanto agli effetti che riguardano il ritratto del reale Gesù caratteristico. L’impresa dell’autore non sfugge alla difficoltà con cui si scontra chi vuole affrontare il carattere orale delle tradizioni di Gesù: «non posso addurre un campione delle tradizioni di Gesù che abbia carattere manifestamente orale piuttosto che letterario» (p. 118). La forma letteraria ha codificato in modo definitivo la tradizione orale.

Nell’individuazione dell’oralità contenuta nei documenti scritti si gioca tutto e proprio emergono il merito della proposta ma anche i rischi e i limiti della posizione di Dunn1. Insegnamento non secondario anche per una civiltà, come la nostra, fondata sui paradigmi della scrittura: imparare ad ascoltare la tradizione che si narra e si rinarra a viva voce!



 
 
 
 
 
 
Martín Carbajo Núñez - via Merulana, 124 - 00185 Roma - Italia
Esta página también está activa aquí
Webmaster