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Recensione: G. Garbini, Mito e storia nella Bibbia

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: G. Garbini, Mito e storia nella Bibbia, in Antonianum, 79/2 (2004) p. 377-378 .

Per recensire un libro di G. Garbini, è necessario distinguere nettamente dal suo stile temperamentale il contenuto dei suoi studi, altrimenti si rischia di non rendere giustizia a quel che scrive. Difatti, le battute contro “i biblisti” e i “teologi”, che impregnano di frequente le sue pagine, fino a trasformarsi in un “tic” ripetitivo, se prese troppo sul serio talvolta potrebbero appesantire la lettura delle sue pubblicazioni. Il libro che presentiamo, una raccolta di saggi dei quali alcuni sono relazioni tenute in convegni (1, 5, 6 e parte dell’8), è un’ottima testimonianza di tale caratteristica. A questo proposito, sarebbe stato opportuno segnalare le date in cui i saggi hanno visto la luce come relazione o altro, perché alcune osservazioni sui “biblisti” fanno venire spontanea la domanda ad un “biblista”: «Ma Garbini pensa veramente che ancora oggi vi sia un biblista che creda che il pentateuco sia stato scritto da Mosè (cf. p. 87) o che sia così sprovveduto da meritare la sua battuta (si comincia con la prefazione a p. 9) che la Bibbia ha sempre ragione, ma sono i biblisti che hanno quasi sempre torto?». Battute del genere naturalmente fanno sorridere, specialmente chi conosce personalmente l’autore, una simpatica e amabile persona. Un sommesso consiglio: non si potrebbero espungere nella pubblicazione alcune battute che forse hanno la loro buona giustificazione solo quando sono espresse oralmente di fronte a un uditorio da animare? Questo accorgimento editoriale farebbe concentrare l’attenzione sul solo assunto  scientificamente condotto. Ed è su questo che deve appuntarsi l’attenzione del lettore e/o del recensore. Il G. affronta nei suoi saggi, come dice il titolo della raccolta, una tematica alla quale ha già dedicato varie sue ricerche e pubblicazioni, tra le quali Storia e ideologia nell’Israele antico (Paideia, Brescia 1986). L’assunto di fondo dell’autore è che la maggior parte della storia dell’antico Israele, la cui fonte è in pratica esclusivamente quella biblica, sia un’invenzione ideologica postesilica (dal VI sec. fino al II sec. a.C.), opera perlopiù del ceto dirigente sacerdotale che via via ha preso potere sulla comunità giudaica, fino a imporre una teocrazia. Lo strapotere sacerdotale non si sarebbe fermato neanche di fronte all’assassinio di Zaccaria, il sacerdote profeta citato dallo stesso Gesù in Mt 23,35, e forse dello stesso Zorobabele, il davidide sostenuto da Zaccaria. I saggi, tra i quali spicca per una particolare importanza “Mosè e la Legge” (la costituzione genetica del pentateuco), ruotano attorno alla suddetta tematica di fondo, pur partendo da temi particolari, come “L’impunità di Caino”, “Abramo e Damasco”, “L’incesto di Ruben”, l’altrettanto notevole “Le tradizioni davidiche”, “Il vitello di Betel”, “La nascita di Ezra” e “Nascita e morte di un messia”; il primo e l’ultimo saggio fanno da introduzione e conclusione. Alcune tesi importanti del G., come l’abbassamento delle date di redazione dei testi biblici e la gran parte che hanno avuto le generazioni postesiliche, sono ormai diventate patrimonio non proprio comune ma largamente condiviso di un gruppo consistente e rappresentativo dell’esegesi biblica contemporanea. Le stesse resistenze che vengono opposte a tale visuale mostrano la vivacità del dibattito scientifico, del resto talora testimoniata dallo stesso G. Siano benvenuti quindi gli stimoli critici che provengono dalla lezione dell’autore, anche se possiamo nutrire qualche perplessità sulla sua metodologia “sciolta”, per la quale l’apoditticità delle affermazioni è inversamente proporzionale al riferimento alla bibliografia e dibattiti critici sui temi, che amplierebbero la visuale del G. e potrebbero offrire un supporto meno gratuito ai risultati delle sue stimolanti inchieste, che hanno qualche volta il sapore del romanzo “thriller”.                                      



 
 
 
 
 
 
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