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Recensione: A. Boni, Attualitā del celibato sacerdotale

 
 
 
Foto Etzi Priam , Recensione: A. Boni, Attualitā del celibato sacerdotale, in Antonianum, 79/2 (2004) p. 398-400 .

Sono passati molti anni dalla prima edizione di questo libro (Genova, 1979); ma le sue tesi di fondo, all’epoca definite “radicali”, lungi dall’essere invecchiate, appaiono oggi perfino più chiare e più sicure di quando sono state formulate, in quanto gli avvenimenti hanno provveduto a convalidarle. Nondimeno, c’è da chiedersi se sia possibile dire qualcosa che non sia stato ancora detto su un problema così scottante e attuale, qual è il celibato sacerdotale. Si può non tener conto della massa di studi storici, di opere teologiche, giuridiche, antropologiche, psicologiche e via dicendo, scritte sull’argo-mento? Ci si può chiedere, come se la domanda non fosse mai stata posta, cosa è il celibato sacerdotale?

È proprio quello che ha provato a fare A. Boni. E si deve ammettere che, dopo la lettura di questo libro, dalle argomentazioni vigorose e dalle pagine talvolta ardue, si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una svolta risolutiva di questo tribolato problema ecclesiale. Non c’è infatti nulla di eccezionale o di sorprendente nella possibilità di rivedere e di ripensare problemi che sono già stati analizzati innumerevoli volte in precedenza, perché questa è la forza straordinaria del sapere: potersi porre problemi antichi con interrogativi nuovi, con strumenti di analisi nuovi, che sono dati dall’accumularsi del sapere stesso e da quella esperienza storica che è “coestensiva della vita”. È questa una espressione di H. G. Gadamer, un filosofo estremamente sensibile, come del resto il nostro A. Boni, al continuo mutarsi del metodo storico e che coglie, nel saggio intitolato Il problema della coscienza storica, un punto che ci sembra essenziale per poter riflettere sul passato, non in quanto studiosi, scienziati, “esperti” di determinate discipline, ma semplicemente in quanto “uomini” e, nel nostro caso, “sacerdoti”. Uomini che hanno “vissuto”, sacerdoti che hanno “celebrato” e che hanno, quindi, una consapevolezza che è data dall’orizzonte stesso con il quale guardano al passato, un orizzonte più vasto proprio in quanto carico del patrimonio di ciò che è già stato sperimentato.

È quindi il nostro stesso vivere che ci permette in definitiva, di riflettere, non soltanto con la “scienza”, che è del resto, e sempre, il frutto di un certo atteggiamento di fronte alla vita, ma anche con il sapere, con la sofferenza, con l’ansia, con la curiosità e con l’esperienza di oggi, sulla vita di ieri. Per gli stessi motivi quindi possiamo guardare alle azioni, alle idee, ai sentimenti di uomini di ieri, sicuri di comprenderli di più, o almeno in un modo diverso, che è comunque sempre un di più. Non devono pertanto sorprendere le affermazioni – documentate – di A. Boni, che un problema tanto spinoso come quello del celibato sacerdotale non abbia mai avuto l’approfondimento che merita a livello biblico, patristico e giuridico, ma che sia stato trattato dagli studiosi con sconcertante superficialità, contribuendo più a creare confusione che a portare efficaci contributi per la sua soluzione.

Riteniamo che un libro della densità di quello che stiamo presentando richieda, per potersene fare un’idea esatta, un’attenta lettura ed una impegnativa riflessione personale. Crediamo tuttavia di fare cosa utile ai lettori riportandone per sommi capi i punti più salienti, evidenziandone le fonti ed illustrandone i criteri di composizione.

Di capitale importanza sembra, in primo luogo, che finalmente sia stata evidenziata la necessità di operare rettifiche di ordine storico e di critica delle fonti che, risalendo allo Pseudo-Dionigi, inconsapevolmente hanno fuorviato gran parte dell’elaborazione operata dagli Scolastici sulla dottrina del celibato e sui contenuti di un impegno (alleanza) contratto con Cristo, qual è propriamente l’impegno della vita consacrata e del celibato sacerdotale, ridotto invece ad “una ragionevole legge ecclesiastica”. Inoltre, pensiamo che si debba richiamare l’attenzione anche sulla questione di fondamentale importanza della distinzione che A. Boni opera tra l’impegno del celibato sacerdotale e l’impegno della continenza sacerdotale, portando avanti questo discorso nelle sue varie fasi evolutive storico-giuridiche fino al loro completo esaurimento. Ovviamente, questo discrimine non è arbitrario: l’Autore ha saputo rintracciare il fondamento biblico (specialmente 1Tim. 5, 11-12) e il rispettivo sviluppo dottrinale nell’insegnamento dei Padri, approdati poi a specifiche deliberazioni di ordine giuridico. Tuttavia, il fatto che più piacevolmente sorprende è che l’impostazione/interpretazione del celibato sacerdotale data da A. Boni trova autorevole riscontro nei più recenti pronunciamenti del Magistero sull’argo-mento e persino nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 1578). 

Il volume si articola in dieci capitoli, organicamente rapportati tra di loro: il I capitolo, intitolato “Il celibato sacerdotale come attesa di Dio e come risposta dell’uomo” (p. 13-32), può considerarsi un’introduzione generale all’argo-mento. A. Boni vuole dimostrare che l’impegno del celibato sacerdotale è prima di tutto per la realizzazione della personalità del sacerdote, il quale a sua volta deve realizzarsi secondo un progetto che Dio ha concepito nei riguardi del chiamato; il II capitolo tratta delle “Motivazioni bibliche del celibato sacerdotale” (p. 33-46): l’Autore vaglia la S. Scrittura alla luce del senso fondamentale che, per il sacerdote, ha il suo celibato sia come esigenza dell’uomo che come esigenza di Dio; il III capitolo: “Motivazioni patristiche del celibato sacerdotale” (p. 47-77), cerca la verifica di questa interpretazione dei testi biblici nella riflessione teologica dei Padri della Chiesa.

A questo punto della trattazione, appare chiaro che il celibato è essenzialmente una scelta libera operata dall’uomo nel suo impegno di risposta alle attese di Dio, e non un obbligo imposto per legge dalla Chiesa. Di qui il contenuto del IV (p. 78-107): “Obbligo del celibato sacerdotale: sua origine qualificazione giuridica”, e del V capitolo: “Obbligo della continenza sacerdotale: sua origine qualificazione giuridica” (p. 108-131).

I risultati di questa indagine sono riportati nel VI capitolo: “Irreversibilità a-matrimoniale del sacerdozio: sua origine e qualificazione giuridica” (p. 132-146); non è la Chiesa che pone al sacerdote (meglio sarebbe stato dire “chierico”, al fine di includere anche i diaconi) l’irreversibilità a-matrimoniale dell’Ordine sacro: la fedeltà a quest’impegno promana direttamente dal “patto” che il sacerdote volontariamente e consapevolmente si assume con Cristo il giorno della sua ordinazione. Nell’opera non poteva mancare un capitolo, il VII, sulla “Contestazione del celibato sacerdotale” (p. 147-166): A. Boni, sulla scorta di un’impostazione dottrinale saldamente ancorata ai dati biblici e patristici, non esita ad assumere una posizione -  “contro-contestazione” -  chiara e netta, che ci sembra difficilmente controvertibile.

L’Autore dilata ulteriormente l’orizzonte delle sue argomentazioni, con risultati che davvero sorprendono e inducono a pensosa riflessione; così nell’VIII capitolo: “Sacralità consacrante del celibato sacerdotale” (p. 167-191), pone le premesse di un discorso documentato nelle fonti del diritto, che riprenderà nel X capitolo: “Vita celibataria consacrata” (p.205-242), nel quale rivendica ai sacerdoti celibatari un proprio spazio nell’àmbito della sacralità di vita di coloro che stringono un’alleanza con Cristo, consacrandosi totalmente e perpetuamente al culto e al servizio di Dio nella castità, nella povertà e nell’obbedienza.

Il IX capitolo, che per esigenze tematiche abbiamo lasciato per ultimo, tratta della “Dispensa dal celibato sacerdotale” (p. 192-204). Essa viene intesa dall’Autore come un provvedimento estremamente grave e straordinario, come un atto materno della Chiesa volto ad andare incontro, “con viscere di pietà”, alla debolezza di chi non ha saputo rimanere fedele al “patto” stipulato con Cristo.

A conclusione della lettura, prendendo a prestito le parole del celebre e compianto canonista salmanticense Don Lamberto De Echeverria nella recensione che egli fece alla prima edizione di quest’opera (cfr. Revista Española de Derecho Canónico 37 [1981], p. 275), e che A. Boni pone, in segno di commossa gratitudine, come “Presentazione” della presente seconda edizione (p. 5-6), ribadiamo che si tratta di “un libro importante. […] Una monografia che raccomandiamo caldamente perché si leggerà con frutto anche da parte di coloro che non condividono le sue tesi. Noi da questo luogo le condividiamo e il libro ci è risultato chiarificatore” (p. 6).

Facciamo altresì nostro l’auspicio del caro P. Boni che il suo lavoro, realizzato con mirabile impegno e assodata competenza scientifica, mentre ci apre a orizzonti nuovi e veramente affascinanti, “possa servire a qualcuno, prima ancora che a qualcosa” (p. 247)!  



 
 
 
 
 
 
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