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Recensione: David Novak, L’elezione d’Israele. L’idea di popolo eletto

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: David Novak, L’elezione d’Israele. L’idea di popolo eletto , in Antonianum, 77/1 (2003) p. 172-173 .

Il saggio del professore di ebraismo moderno, David Novak, è una ricerca attorno a un tema centrale dell’identità del popolo ebraico. L’opera si segnala per la chiarezza e la densità dell’esposizione, attraverso le quali riesce a dare spessore filosofico ad un discorso teologico sull’essenza dell’ebraicità: l’elezione d’Israele da parte di Dio.

La pregnanza della discussione è data dal fatto che nell’epoca moderna alcuni pensatori di rilievo avrebbero messo in crisi con le loro idee l’oggettività teologica dell’alleanza tra Dio e Israele. Il primo responsabile va ricercato in B. Spinoza, per il quale solo Dio è l’essere e come tale non può essere toccato dal non essere o divenire che è il mondo; quindi, il patto con lui, come scelta di un partner al di fuori del regno della necessità che è la natura, è un’esigenza unilaterale e umana del solo Israele. Dopo Spinoza è da considerare l’apporto del pensatore ebreo neokantiano, H. Cohen, anche per il quale l’iniziativa dell’alleanza con Dio parte da Israele, come decisione presa nel più alto ambito dell’agire umano, quello dell’etica (per Spinoza invece l’ambito proprio dell’agire umano è quello politico). Entrambi questi filosofi sarebbero, a detta di N., i decostruttori della trasscendenza oggettiva della Berit biblica. Per riordinare le carte, bisognerebbe reimpostare su basi bibliche il concetto di alleanza e svilupparne le implicanze con strumenti filosofici. È quanto ha fatto F. Rosenzweig, al quale l’A. si mostra grato anche per avergli dato la possibilità d’impostare su tali basi la sua ricerca. Ma anche a Rosenzweig, il quale ha al suo attivo una militanza nel dialogo tra ebrei e cristiani, N. rimprovera qualcosa. Per Rosenzweig il patto è un dato oggettivo, ma egli, probabilmente per una simpatia nei riguardi di quei cristiani con i quali aveva dimestichezza, avrebbe decostruito la pregnanza unica della Berit israelitica, affiancandola alla testimonianza altrettanto efficace del cristianesimo, con il quale gli ebrei alla fine dei tempi, dopo aver collaborato ciascuno per sua parte al progetto di salvezza universale, sarebbero entrati a far parte di un’umanità nuova. Il N. non accetta questa posizione che sa ancora d’idealismo ed elabora invece con acribia la sua teoria biblica dell’alleanza tra Dio e Israele. Una trattazione che talora ricorda l’”extra ecclesiam nulla salus”  più intransigente della posizione cattolica. N. conduce una disamina lucida e coerente, che può lasciare perplessi proprio per tale rigidità, tanto più che se il cattolicesimo sa superare la barriera grazie alla conversione degli estranei, per il N. il proselitismo è una inaccettabile forma d’orgoglio. La realtà è che l’alleanza d’amore di Dio con Israele è qualcosa che appartiene solo ad Israele e che è incomunicabile ai non ebrei. Egli concede (bontà sua) che tutto questo non è contro la salvezza dei gentili, ma questa potrà essere solo un atto di Dio alla fine dei secoli, per il quale il popolo ebraico oggi nulla può fare.

Certo, questo libro, pur interessante e di alto livello, interromperebbe qualsiasi possibilità di dialogo tra i cristiani e gli ebrei; ma non credo che la rottura del dialogo sarebbe la risposta migliore né che essa sia voluta dallo stesso Autore.

 



 
 
 
 
 
 
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