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Recensione: HANS HÙBNER, La legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: HANS HÙBNER, La legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina , in Antonianum, 71/4 (1996) p. 732-733 .

La tesi sostenuta da H. in questo libro, che nell'originale tedesco ha già rag­giunto ben la terza edizione, ha suscitato una viva discussione nel mondo esegetico. Tradizionalmente, quando si affronta uno dei nodi centrali della teologia paolina (per l'H.: il nodo centrale), cioè la «giustificazione mediante la fede», tema fonda­mentale di Gal e Rm, si cerca di spiegare quello che non si comprende in una let­tera, con l'altra, in modo che il pensiero dell'apostolo sia il frutto dell'integrazione dei due scritti. In realtà, tale procedimento metodologico sarebbe deviante, perché non renderebbe conto di un semplice fatto: quello che Paolo afferma in Gal, ha un suo significato preciso e autonomo, in vistosa contraddizione con quello che svilup­pa e dichiara in Rm. Due le correzioni: la prima è che ciascuna lettera va studiata per se stessa, e l'altra è che l'unica spiegazione del fenomeno debba partire da una evoluzione nel pensiero dell'apostolo, non riducibile ad un semplice cambiamento di situazione e di destinatari.

La tesi è sviluppata da H. consequenzialmente, analizzando in modo distinto in un primo capitolo Gal e in un secondo Rm, lasciando ad un terzo e ultitmo capitolo l'approfondimento della questione, a partire dal concetto di «vanto» o «vantarsi» nel vocabolario paolino delle due lettere, alle quali si aggiunge un'incursione ini e 2 Cor.

In modo serrato e speculativamente notevole, l'H. mostra come in Gal Paolo abbia manifestato una ben precisa concezione negativa della Torà, intesa come la ri­chiesta delle opere per la giustificazione, ma soprattutto come ciò che abbandona al­la maledizione chi pretende tale tipo di giustizia e come ciò che, quindi, è fomite di peccato. Infatti, proprio perché la Torà pretende di essere obbedita nella totalità, e non soltanto parzialmente, magari con la sola circoncisione, come suggerivano gli av­versari giudaizzanti, nessuno riesce a salvarsi con la legge. Il rifiuto totale della legge mosaica da parte dell'apostolo, secondo l'H. sarebbe da ascrivere con ogni probabi­lità ad una interpretazione soggettiva ed errata delle decisioni prese al sinodo (non concilio per l'a.) apostolico di Gerusalemme, in riferimento alla missione ai pagani. Mentre gli apostoli, con Giacomo, avrebbero inteso l'aleatorietà della circoncisione per gli etnico-cristiani come una concessione che però non abrogava la circoncisione per i giudeo-cristiani, Paolo avrebbe invece interpretato la risoluzione non solo come obbligante tutti in assoluto, ma anche, di conseguenza, come cassazione della stessa Torà. L'apostolo non si avvedeva della patente contraddizione di non saper spiegare allora, perché avrebbe dovuto ritenere cristiani autentici, salvati nella fede di Cristo, i seguaci di Giacomo, ad es., per i quali la Torà continuava ad avere una validità.

In Rm, invece, sempre secondo la ricostruzione dell'H., dopo una plausibile chiarificazione avuta con Giacomo, Paolo avrebbe corretto la sua posizione, ricon­ciliandosi con la santità intrinseca della legge e distinguendo propriamente la Torà dall'atteggiamento autosufficiente di colui che voleva la giustificazione attraverso le opere. Il recupero della positività della legge, pur nel mantenimento della tesi di fondo paolina della giustificazione per la sola fede, ha come conseguenza l'afferma­zione che le opere della legge non sarebbero abolite, ma tuttavia troverebbero po­tenza e senso solo sul terreno dello stato di salvezza già operato dal Cristo e tra­smesso nella fede.

H. svolge il suo tema con lodevole capacità dimostrativa. In ogni caso è plausibile e condivisibile che nell'apostolo, come in ogni uomo, vi sia stata un'evoluzio­ne nel pensiero, anche se con una certa coerenza di fondo. L'armonizzazione ad ogni costo del pensiero dell'apostolo, magari in base a premesse confessionali, non gli rende certo giustizia. Benvenuta, quindi, la tesi del Nostro.

Tuttavia, desideriamo manifestare timidamente anche un certo disagio di fron­te alla metodologia dell'autore (e ad una certa metodologia corrente), un disagio esprimibile nei seguenti punti:

 l)lo studio dell'H. non spiega Paolo con Paolo, ma con gli esegeti contempo­ranei. Il pur necessario ricorso accademico al confronto e alla disamina delle inter­pretazioni dei colleghi, spesso scorre su di un piano parallelo al testo paolino, così che in primo piano non è ciò che dice Paolo, ma quel che dice Kàsemann o Luz o Mussner, ecc. Talora si rischia di non distinguere più ciò che è di Paolo da ciò che è disquisizione esegetica.

2)Lo stile serrato e notevolmente speculativo dell'H., serve a sviluppare delle argomentazioni interne al suo pensiero e intrinseche al suo raziocinio moderno e occidentale, o perlomeno si muove su di un testo biblico che talora sembra astratto completamente dal suo reale contesto storico-culturale. Non è il mondo storica­mente e culturalmente determinato di Paolo quello che si ha davanti, ma un discor­so di Paolo asettico e atemporale.

3)Quello di cui si sente appunto la mancanza, è l'inquadramento delle catego­rie paoline nell'ambito concettuale del giudaismo del I sec. Ci si domanda a volte se Paolo intendesse le stesse cose di un teologo del XVI secolo o del XX secolo, quan­do si parla di Torà (quale? Il codice di diritto canonico ecclesiastico in relazione ad una teologia morale sistematica del medioevo o l'entità personificata presente in cielo, propria delle concezioni giudaiche dell'epoca? Si veda a questo proposito una dissertazione dottorale recente: Schlomit Adam, Paulus und das Gesetz aus der Per-spektive des frilhrabbinischen Judentums, Privatdruck einer Dissertation un ter Anlei-tung von David Flusser [Jerusalem 1994]) o di giustificazione (è proprio da far coincidere perfettamente la geniale interpretazione «wirkungsgeschichtlich» di Lu­tero con le convinzioni dell'apocalittico ed ellenistico ebreo Paolo?).

4)Ed arriviamo ad un punto cruciale. Ci sembra che nel pur eccellente studio dell'H. giochi ancora troppo un suo ruolo la pregiudiziale confessionale tradiziona­le, almeno dal punto di vista metodologico, perché da quello del contenuto, bisogna ammettere che, nonostante tutto, l'autore riesce a sostenere una tesi, come si è det­to, originale e condivisibile.

 


 



 
 
 
 
 
 
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