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Recensione: Peter Stuhlmacher, Gesù di Nazaret - Cristo della fede

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Peter Stuhlmacher, Gesù di Nazaret - Cristo della fede , in Antonianum, 69/2-3 (1994) p. 387-388 .

La questione che S. pone con questo libretto, è veramente di capitale impor­tanza. Negli ultimi decenni, a proposito del problema circa il rapporto tra il Gesù storico e il Cristo della fede, è andata consolidandosi la tesi a favore dell'egemonia del secondo; cioè, la maggior parte delle affermazioni dei vangeli su Gesù, sarebbe frutto della comunità di fede postpasquale, mentre quanto attiene al Gesù della storia verrebbe dagli studiosi presentato in modo riduttivo.

Lo S., che si sente sostenuto da studiosi importanti, quali M. Hengel, L. Gop-pelt e H. Schurmann, pone invece come condizione imprescindibile, per un'adegua­ta soluzione del problema circa il rapporto tra Gesù di Nazaret e il Cristo della fe­de, la convinzione messianica che Gesù stesso doveva nutrire e la consapevolezza della sua missione di morte redentrice. Tale consapevolezza egli l'avrebbe suggel­lata con l'istituzione dell'eucarestia.

Questa posizione teologica è l'oggetto dei tre brevi saggi del libro in questio­ne: 1) Gesù di Nazaret come Cristo della fede; 2) Perché Gesù dovette morire?; 3) Le testimonianze neotestamentarie sulla cena del Signore. I saggi sono frutto di lezioni e conferenze ed hanno perciò un tono divulgativo, così che talvolta diviene difficile discutere un'affermazione, non sapendo quanto vada addebitato piuttosto alle esigenze di rapidità e semplificazione dell'uditorio. Certo, la questione che lo S. pone è vitale e la sua posizione è da condividere: non si può staccare la fede cristia­na dal Gesù storico e dalla coscienza della sua missione, senza vanificare la fede stessa. L'argomentare dello S., però, non è sempre dei più convincenti per uno stu­dioso; talora, vengono riproposti stereotipi come se fossero dogmi, come l'ormai ri­trito dato che Gesù chiamava Dio « padre » e che denoterebbe un rapporto unico. Ma, appunto questo muoversi lieve su una superficie pur grave, è forse dovuto allo stile della conferenza. Uno studio affrontato ad un più alto livello critico, avrebbe dovuto distinguere più acutamente e meno apologeticamente, tra l'imprescindibile esigenza teologica che Gesù avesse una coscienza della sua missione messianica, fatto che sta a cuore allo S. e a noi, e la ricezione storico-culturale di essa da parte di Gesù prima, come giudeo del suo tempo, e da parte della comunità postpasquale poi, come gruppo che ha approfondito e sviluppato l'eredità dottrinale e salvifica di Gesù con i mezzi che la sua cultura, la sua tradizione e il momento storico offriva­no.

Ad ogni modo, le tre lezioni dello S. si lasciano leggere con profitto e la sua stimolazione va presa sul serio. Da segnalare la presentazione godibile di quella che può essere stata la reale cornice storica dell'istituzione dell'eucarestia.



 
 
 
 
 
 
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