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Recensione: Hans Weder, Metafore del Regno. Le parabole di Gesù: ricostruzione e interpretazione

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Hans Weder, Metafore del Regno. Le parabole di Gesù: ricostruzione e interpretazione , in Antonianum, 68/2-3 (1993) p. 403-405 .

Il libro di H. Weder presentato dalla Paideia in traduzione, è la terza edi­zione della sua dissertazione dottorale, pubblicata nel 1978. Si tratta, come si può arguire, di un'opera che ha fatto molto discutere e che non ha smesso di suscitare reazioni nel mondo esegetico. In realtà, l'autore, con questa nuova edizione non apporta notevoli cambiamenti al suo studio originario, che sostanzialmente ac­cetta ancora in pieno, nonostante le critiche a volte vivaci che l'hanno accolto.

L'assunto del W., non esattamente espresso dal titolo italiano, che traduce li­beramente il tedesco: Die Gleichnisse Jesu als Metaphern. Traditions- und redaktions-geschkhtliche Analysen und Interpretationen, è quello di affrontare innanzi tutto la questione teorico-metodologica circa la natura del genere letterario della para­bola e poi di applicarne sistematicamente le conclusioni a tutte le cosiddette «pa­rabole del Regno». Un'impresa che si prospetta imponente fin dall'inizio, data l'annosità della questione dell'interpretazione delle parabole e date le implica­zioni teorico-pratiche che ne provengono, allorché vengono coinvolte la cristolo­gia e, in parte, la ecclesiologia primitive.

Com'è quindi ormai chiaro, il W. affronta il suo compito dibattendo in una prima grande parte la questione teorica del genere della «parabola». Egli parte dal momento fondante della ricerca, quello degli studi di A. Jùlicher (1910), con il quale soprattutto il W. si confronterà lungo tutto il suo studio; indi, presenta dapprima i vari approcci scientifici al tema, cominciando da quello storico-formale del Bultmann e procedendo con quello storicizzante (A. Schweitzer, Dodd, Jere-mias, Linnemann), quello ermeneutico (Fuchs, Jiingel) e quello letterario (Wil-der, Funk, Via), più moderno e più rispondente, quest'ultimo, alle esigenze contem­poranee e a quelle dell'autore: collegare le acquisizioni delle moderne scienze della letteratura e della linguistica con l'ermeneutica teologica.

Il W., a seguito di tale rassegna, vuole offrire una sua soluzione del pro­blema, superando quella distinzione che lo Julicher aveva fatto tra parabola ed al­legoria, definendole due varianti rispettive della comparazione e della metafora. Il W. rivaluta innanzi tutto il senso della metafora, facendone il mezzo proprio (e non improprio, come voleva la retorica classica) di esprimere un significato auto­nomo, attraverso un piano di significato già noto, preso dal mondo naturale. In altri termini, la metafora non è scontatamente traducibile, come cifra nota di un corrispettivo dato sottostante altrettanto noto, bensì è la creazione di un senso nuovo, tramite la tensione del soggetto (nel caso presente il regno dei cieli) con il suo predicato (la narrazione), messa in piedi dalla copula: «... è come, ecc.». Oltre a ciò, il W. affina il suo concetto di metafora/parabola, non accettando la distin­zione dello stesso Julicher tra parabola ed allegoria, in base ai germi embrionali della comparazione e della metafora, bensì in base all'unicità di soggetto, che si ritroverebbe nella parabola e che assicurerebbe l'unicità di significato del tutto, e alla pluralità di soggetti dell'allegoria, ciascuno riconducibile ad un significato au­tonomo. A questo punto, il Nostro non sembra fare una distinzione netta tra pa­rabola e allegoria, anche perché aggiunge che nell'ambito di una stessa parabola del Regno, si troverebbero agganciate alla parabola originaria, pronunciata da Gesù stesso, le interpretazioni «allegoriche» successive della comunità cristiana, necessarie a salvaguardare il significato riposto nella parola di Gesù e la natura propria della parabola. In questo modo, egli può superare anche quella cesura netta che molti autori vorrebbero operare tra il significato prepasquale delle pa­role di Gesù e quello del Cristo postpasquale, compreso dalla comunità a partire dalla realtà fondante della resurrezione del Signore. Quest'ultimo dato è senz'al­tro positivo, perché talora quello della distinzione netta e inconciliabile tra il Gesù della storia e il Cristo del kerygma, è stato ed è un falso problema. E tuttavia, il modo teorico con cui il W. vi arriva, non è dei più chiarificanti.

La seconda parte del libro analizza sistematicamente le parabole del Regno, nelle sue lezioni sinottiche parallele e nell'eventuale versione dell'apocrifo Van­gelo di Tommaso, con il più puro metodo storico-critico. Questo modo di proce­dere, traditions- und redaktionsgeschichtiich, fa risaltare uno iato tra la precedente parte teorica ed una pregiudiziale metodologica, che sa talora (me lo permetta l'autore) di positivismo ingenuo. Difatti, attraverso le ipotetiche collocazioni sullo sfondo storico di alcune espressioni testuali, si vuole ricostruire, talvolta nei suoi dettagli, il processo evolutivo della parabola, da quando è uscita dalla bocca di Gesù, come sue ipsissima verba, fino allo stadio redazionale definitivo, passando attraverso varie fasi storico-psicologiche. Si legga ed es. alle pp. 136ss. come il W. delinea l'evolversi della parabola del seminatore (Me 4,3-9; Ev Th 9). Il significato originario delle parole di Gesù si ricaverebbe dal contenuto metaforico della pa­rola «seminare», a cui si connetterebbe l'atteggiamento dell'«ascolto», come rea­zione necessaria al procedimento usato da Gesù. Gl'interventi successivi della co­munità, ricavati in base all'analisi critico-letteraria, di tutto rispetto ma ipotetica nei risultati, fanno capire che «tutto ciò corrisponde alla nuova situazione della comunità, che comincia a volgere lo sguardo alla propria storia. La potenza della parola, sperimentata dopo la pasqua, ha determinato il fatto che il raccolto della semenza, ossia il frutto abbondante (v. 20) venisse messo in risalto ed enfatizzato, fino a sfociare nel miracoloso...» (p. 141)...

Lo studio si conclude con una terza parte, che ha il compito di fare un riepi­logo dell'itinerario percorso. Vi sono delle belle pagine, molto stimolanti (del resto, tutto il libro è disseminato di tali pagine), che però non risolvono un pro­blema di fondo, che è in parte di natura ermeneutica ed in parte metodologica.

Il modo tradizionale di affrontare l'analisi esegetica dei testi biblici, rischia una schizofrenia. Da un lato, il metodo storico-critico, spinto nel modo solito, procede talvolta col più puro spirito realistico (che io chiamerei positivistico), dall'altro, con poco rispetto dell'autentica storicità dei processi letterari e teolo­gici (un paradosso!), si libra sulle più alte vette della speculazione filosofica, certo attraente e a suo modo valida, ma poco connessa con una più idonea indagine dei processi reali della storia e della natura delle opere letterarie così come le vedono le moderne scienze della letteratura.

Evidentemente è il debito che paga, o perlomeno ha pagato finora, un'impo­stazione accentuatamente filosofica della ricerca tedesca.

La presente edizione ha una stimolante postfazione del biblista Vittorio Fusco.



 
 
 
 
 
 
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