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Recensione: James D.G. Dunn (ed.), Jews and Christians. The Parting of the Ways A.D. 70 to 135. The Second Durham-Tùbingen Research Symposium on Earliest Christianity and Judaism (Durham, September, 1989)

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: James D.G. Dunn (ed.), Jews and Christians. The Parting of the Ways A.D. 70 to 135. The Second Durham-Tùbingen Research Symposium on Earliest Christianity and Judaism (Durham, September, 1989) , in Antonianum, 68/4 (1993) p. 565-568 .

In questi ultimi tempi, sostenuti anche da un rinnovato e fecondo interesse ai testi del giudaismo tardivo del Secondo Tempio, in particolare a quella vena ric­chissima costituita dal giudaismo intertestamentario, gli studiosi stanno moltipli­cando i loro sforzi per venire a capo dell'annosa questione circa le origini e le cause della spaccatura e della biforcazione, nel seno dell'unico giudaismo, di quei due fenomeni religiosi che sono il giudaismo propriamente detto e il cristiane­simo.

Il presente libro raccoglie i contributi estremamente interessanti di un simpo­sio tenuto nell'università inglese di Durham da studiosi di area tedesca e inglese, proprio sul tema sopra accennato. Con più precisione, si tratta degli atti del se­condo simposio che le università di Durham e di Tubingen hanno celebrato nel 1989, facendo seguito al primo, tenuto a Tubingen nel precedente anno, sul tema «Paulus, Missionar und Theologe, und das antike Judentum». L'orientamento di tali incontri accademici è evidente. Il fine che i loro partecipanti si sono propo­sto, è quello di far luce su un'epoca affascinante e nel contempo fatale per la sto­ria e i destini di due religioni sorelle, provenienti da un'unica madre.

La dedica del secondo simposio alla memoria del grande studioso del cristia­nesimo primitivo, Joseph Barber Lightfoot, vescovo di Durham (1828-1889) è si­gnificativa per il tema che ha tenuto riuniti gli studiosi: «Il divergere delle due vie nell'epoca che va dal 70 al 135 d.C», cioè dalla prima alla seconda rivolta giu­daica. Difatti, come spiega J. Dunn, il curatore dell'opera, nella prefazione, si è trattato di riprendere con mezzi più moderni e più adeguati la questione delle origini del cristianesimo, là dove lo studioso inglese e l'altro suo grande contem­poraneo, F.C. Baur, della scuola di Tubingen, l'avevano lasciata. Entrambi erano d'accordo sulla sottolineatura della matrice giudaica del cristianesimo, ma anche sul fatto che questo, per poter divenire un fenomeno religioso originale, doveva staccarsi dalla sua matrice. Come? La risposta del Baur fu in parte di ordine ese-getico-teologico e in parte filosofico, secondo il gusto del tempo. Egli spiegò l'e­vento cristiano come il frutto della lotta tra il cristianesimo petrino e quello pao-lino; il Lightfoot, animato da quello spirito filologico, che ha reso nobile la tradi­zione inglese, impostò la sua ricerca secondo una metodologia diversa, più di na­tura storico-filologica. Famosi sono i suoi studi su Clemente ed Ignazio d'Antio­chia (The Apostolic Fathers. Pari IL S. Ignatius, S. Polycarp, /London 1885/). Certo, anche la ricerca del vescovo inglese risentiva dei limiti dell'epoca, tuttavia i suoi criteri metodologici hanno rivelato un felice intuito, del quale il simposio ha fatto tesoro. Infatti, gli studiosi del presente libro hanno svolto la loro indagine nel­l'ambito del periodo entro il quale si è consumata la spaccatura dei due fenomeni religiosi fratelli, quello tra le due rivolte giudaiche, lo stesso lasso di tempo sul quale il Lightfoot aveva già gettato la luce della sua ricerca.

Ma, com'era da aspettarsi, il lasso di tempo si è rivelato più un dato conven­zionale di partenza che un termine fisso da non oltrepassare. Difatti, nel primo saggio, quello di P. Alexander, «"The parting of the ways" from the perspective of the rabbinic judaism», si apprende come la spaccatura deve essersi prodotta dopo questo segmento temporale, in quanto la documentazione rabbinica coeva ancora dialoga, seppur polemicamente, con i minim, cioè con il giudaismo cristiano (che bisogna distinguere, nella questione, la comunità giudaica cristiana, che conviveva con il resto del giudaismo, senza sentirsene staccata, dalla cristianità di origine pagana, che non entra in discussione). Con il trionfo del giudaismo rabbinico, che in pratica volle essere l'esclusivo rappresentante del giudaismo, si consumò il «parting of the ways", ma ormai si era al di là del 135 d.C.

M. Goodman, nel suo «Diaspora reactions to the destruction of the Tem­pie», ha una posizione più sfumata e nel contempo più articolata, rispetto a quella precedente. Il trionfo del rabbinismo viene alla fine di un lungo processo, mentre la divergenza con il giudaismo cristiano cominciò molto prima. Testi ne sono i do­cumenti letterari classici dell'epoca e la loro sorte. Se in un primo momento, il g. cristiano fu il solo ad interessarsi ad opere giudaiche scritte in greco, dopo l'anno 100, con l'evidente affievolirsi della presenza di esso, si assottiglia anche quella della letteratura suddetta {Giuseppe ed Asenath e il Testamento di Giobbe furono delle eccezioni). Vi è ancora un altro elemento che testimonia l'origine della spaccatura definitiva: il «fiscus iudaicus», cioè la tassa che l'ebreo, in quanto tale, doveva pagare all'esattore romano (ne parla anche Svetonio nella sua Vita dei Ce­sari, 12,2), veniva pagata anche dal giudeo cristiano; un fatto, questo, che sarebbe divenuto intollerabile per l'ebreo non cristiano, data la valenza religiosa che avrebbe avuto la tassa per la «giudaicità».

M. Hengel con «Die Septuaginta als von den Christen beanspruchte Schri-ftensammlung bei Justin und den Vàtern vor Origenes», porta l'indagine nel campo della storia della trasmissione del testo greco della LXX, prima della gran­diosa e meritoria opera di Origene e di Gerolamo, nella prima metà del II sec. La leggenda della ispirazione divina dei settanta traduttori greci dell'AT, ricevette un tale credito presso le prime generazioni cristiane, testimoni Giustino, Ireneo, Cle­mente e Tertulliano, che, polemicamente, di fronte all'uso giudaico di leggere il solo testo ebraico, creò la convinzione che il testo greco fosse più attendibile del­l'originale ebraico, perché quest'ultimo era ritenuto falsificato dagli ebrei. Non si valuterà mai abbastanza l'operazione di Origene e di Gerolamo, nel tentare di re­stituire la «hebraica veritas»!

H. Lichtenberger («Synkretistische Zùge in jùdischen und judenchristlichen Taufbewegungen») trova che tra i due estremi rappresentati da un giudaismo e un cristianesimo ben definiti (se così storicamente si può dire), è da considerare una via di mezzo, rappresentata da quelle fasce di giudei e di giudei cristiani apparte­nenti a movimenti battesimali di valore socio-religioso comune. Questo fenomeno intermedio avrebbe ritardato la «spaccatura».

Lo studio di G. Stanton, «Matthew's Christology and the parting of the ways», attraverso la cristologia matteana, dimostra come, se da un lato il vangelo testimonia la spaccatura come ormai avvenuta, dall'altro, le critiche a Gesù da parte avversaria, come supporto della divergenza, provenissero da lontano, addi­rittura dal tempo di Gesù stesso.

La linea dell'indagine nei vangeli è continuata da J. McHugh, «In Him was life: John's Gospel and the p. of the ways», stavolta nel quadro della cristologia giovannea, la quale mostra che il dissidio di tipo sociale con il giudaismo era ormai un fatto avvenuto e appartenente al passato; l'attuale dissidio era, invece, di ordine teologico.

La cristologia paolina è chiamata in campo, invece, da P. Stuhlmacher, «Das Christusbild der Paulus-Schule - eine Skizze», il quale rileva come proprio il mi­stero pasquale di Cristo sia la base dottrinale e tradizionale della storica diver­genza.

J. Dunn, il curatore, ritorna con un suo saggio attorno aU'«antisemitismo del NT» («The question of Antisemitism in the New Testament»). Egli pone in ri­lievo, di fronte a delle questioni poste oggi al testo biblico in modo anacronistico, come non si possa dire che il già noto «antigiudaismo» (è un termine più ade­guato) di Matteo, Giovanni e Atti, denoti che la spaccatura tra giudaismo e cristia­nesimo fosse avvenuta. Difatti, cosa fosse in definitiva il giudaismo andava, all'e­poca, via via costruendosi. È una posizione quella del Dunn che oggi s'impone a giusto titolo. Interessante anche il fatto da lui sottolineato circa la distinzione da farsi tra l'autocomprensione che le varie manifestazioni del giudaismo potevano nutrire e l'oggettiva definizione storica del giudaismo, da una parte, e del cristiane­simo dall'altra, risultato di una divergenza irreversibile.

Stimolanti sono i due saggi, dedicati alla letteratura e al contesto apocalit­tico, di C. Rowland («The p. of the ways: the evidence of jewish and Christian apocaliptic and mystical material») e di A. Chester («The p. of the ways: eschato-logy and messianic hope»). Il primo discute l'ambivalenza del valore della lettera­tura apocalittica, ai fini del riscontro della spaccatura e delle note distintive, dato che, da un lato, in testi cristiani, come l'Apocalisse, sembra di notare materiale co­mune a speculazioni mistico-apocalittiche del giudaismo coevo; dall'altro, essi, compresa l'Apocalisse, comportano delle note originali, proprio in relazione al Cristo, che non possono essere scambiate per categorie giudaiche. Il secondo sag­gio dibatte quanto possa aver contribuito il nazionalismo giudaico a definire la fi­sionomia delle due religioni sorelle e quindi la loro divergenza.

Il quadro della ricerca viene concluso in modo eccellente da un'ulteriore in­cursione nella letteratura sub-apostolica e da un'indagine nei testi Pseudo-Cle-mentini (primi anni del IV sec): W. Horbury, «Jewish-Christians relations in Bar-nabas and Justin Martyr»; J.N. Birdsall, «Problems of the Clementine literature».

Nel sommario di tutti i contributi, il Dunn aggiunge le sue conclusioni, nelle quali sottolinea il valore del segmento temporale scelto dal simposio, 70-135, per stabilire il momento nel quale si consumava il divergere delle due vie; inoltre, ri­badisce la validità dell'indagine volta a ricordare la matrice comune del giudaismo e del cristianesimo divisi. Rileva come nel simposio si sia manifestato un certo di­saccordo circa la cristologia come fattore di divisione, non riguardo al fatto inop­pugnabile della distintività cristiana, basata sul Cristo, bensì sulle modalità e le contingenze storiche che hanno reso possibile la spaccatura; il che, aggiungiamo noi, rimane ancora un problema aperto e bisognoso di ulteriori ricerche.

Non vi è bisogno, dopo questa panoramica, di sottolineare quanto valore e interesse rivesta il presente libro. Esso diviene un punto fermo da cui partire per l'approfondimento dei problemi sollevati.

Un piccolo neo da rilevare: un grande numero di errori di stampa, non dan­nosi al senso e al valore del testo, ma certo noiosi.



 
 
 
 
 
 
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