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Recensione: Otto Knoch (Hrsg.), Der Erste und Zweite Petrusbrief. Der Judasbrìef

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Otto Knoch (Hrsg.), Der Erste und Zweite Petrusbrief. Der Judasbrìef , in Antonianum, 68/4 (1993) p. 569-570 .

Il presente commentario di altre tre «lettere cattoliche» del RNT (cf. nostra recensione al comm. della Lettera di Giacomo in Antonianum 65 /1990/ 386-387), continua la consolidata serie di opere esegetiche, caratterizzate da un contenuto aggiornato ed essenziale, valido per studiosi ma anche per cultori di studi biblici. Un'altra caratteristica della collana, e del presente commentario, è la sua «cattoli­cità», intesa però non più in senso controversistico e quindi passatista, bensì in un sano confronto con le ricerche esegetiche di autori protestanti, specialmente del mondo tedesco. Del resto, salva restando quella maggiore obiettività accademica sostenuta dai criteri ecumenici offerti dal Concilio Vaticano II e moralmente ac­cettati anche dal mondo protestante più disponibile al dialogo, non si può dire che la ricerca scientifica protestante non faccia sentire il suo retroterra dogmatico e confessionale nell'esegesi biblica, come lascia scorgere la disamina critica del K. Certo, siamo lontani da certi eccessi polemici ricordati dall'autore, ma la puntua­lizzazione a sfondo confessionale dall'una parte e dall'altra rimane...

Le tre lettere cattoliche commentate sono dei piccoli gioielli deJJa letteratura neotestamentaria, talvolta a torto negletti. Esse sono accomunate dai retroterra temporale (fine del 1 sec. d.C. - inizio del II) e da quello concettuale (la 2 Pt si ri­chiama addirittura a Gd).

Tutt'e tre sono composte secondo il genere della «lettera» ed hanno come fi­nalità quella di mettere in guardia le comunità destinatarie da gruppi gnosticheg-gi'anti nascenti, anche se questi non sono necessariamente gli stessi. Marcato è lo sfondo apocalittico del discorso con l'annessa atmosfera del momento della fine, benché in 2 Pt stia piuttosto diventando un problema il ritardo della parusia.

Le tre lettere sono una testimonianza preziosa, perché non sovrabbondante nella letteratura neotestamentaria, del periodo di passaggio della Chiesa dalla prima e seconda generazione alla terza, quando cioè gli apostoli e i loro collabo­ratori diretti sono scomparsi o vanno scomparendo. Le preoccupazioni riflesse nelle lettere da questo sfondo storico, sono state di solito lo spunto per l'identifi­cazione in esse di quel Friihkatholizismus coniato dal mondo esegetico protestante tedesco. Il termine, com'è pensabile, non è proprio innocente, anche se si riferisce ad una realtà storica indubitabile, che è quella su delineata. E tuttavia, se vi sono dietro apprezzamenti confessionali per dare giudizi di canonicità specialmente sulla 2 Pt, bisogna andare cauti; se invece, come dice bene il K. si vuol fare riferi­mento al delinearsi del fenomeno storico che si corfigura sempre più come Chiesa cattolica (vedi 1 Clemente, Lettera d'Ignazio d'Antiochia ai Romani), intesa in senso teologico e non confessionale, si può essere d'accordo.

Se le tre lettere hanno uno sfondo storico comune, tuttavia la diversità e l'o­riginalità di ciascuna sono altrettanto rilevanti.

La 1 Pt sfodera un greco brillante ed uno stile alto, unito ad un contenuto ricco da un lato di elementi ellenistici e dall'altro di concetti giudaico-cristiani e paolini, che non creerebbero difficoltà ad attribuirne la paternità a Sila o Silvano, il collaboratore di Paolo (cf. 5,12: «Vi ho scritto brevemente per mezzo di Sil­vano, che ci è fratello fedele...»). A questi si attagliano bene una formazione cul­turale ricevuta a Gerusalemme e l'esperienza ecclesiale e teologica fatta con Paolo presso le sue chiese (cf. 1,1). Ma perché allora l'attribuzione a Pietro? Fermo restando che il capo dei 12 apostoli non può essere l'autore della lettera per motivi esterni ed interni, il dato dimostra che essa possa essere stata scritta da Roma, luogo della predicazione evangelica e del martirio dell'Apostolo, a comu­nità di origine paolina, per le quali la dottrina di Paolo è sempre importante, ma per le quali è importante pure ormai l'abbinamento di questi a Pietro nel marti­rio, come dimostra la 1 Clem., documento quasi contemporaneo al nostro testo. In altri termini, la lettera registrerebbe l'avvenuto abbinamento dei due apostoli «ro­mani» quali campioni della fede cristiana, e il consolidarsi del riconoscimento della natura primaziale della chiesa di Roma nell'ecumene cattolica.

La lettera si rivolge a comunità che si trovano nella difficoltà storica di per­severare nella propria fede. Evidentemente, il fenomeno della persecuzione si presenta in tutta la sua minacciosità. L'autore consola i cristiani e li esorta a non vedere nella sofferenza una contraddizione della loro fede. Il Cristo, sommo pa­store, ha sofferto per primo e li ha riscattati per farne un popolo sacerdotale. La parenesi trova un sostegno di fondo nell'attesa della prossima parusia, che, a detta del K. è molto viva e non costituisce ancora problema, come invece lo sarà in 2 Pt. Forse l'affermazione andrebbe sfumata, visto che i vari brani di prescri­zioni e consigli (cf. ad es. le cosiddette «tavole domestiche» o esortazioni di 2,11-4,11), presuppongono una struttura sociale ed istituzionale sufficientemente stabile e quindi uno sfondo storico non radicalmente apocalittico.

Diverso è invece il caso della Lettera di Giuda, che il K. commenta subito dopo. Tale documento è estremamente interessante per il suo rapporto con la let­teratura giudaica apocalittica, anche quella apocrifa, in particolare la letteratura sulla figura del patriarca Enoc. Un dato quest'ultimo che dimostra la fluidità an­cora esistente a riguardo della canonicità dei libri in circolazione.

Anche la presente lettera è scritta in un buon greco, tuttavia la più accen­tuata giudaicità ne fa un documento scritto nell'ambito giudeo-ellenistico della Palestina, della Siria o dell'Egitto.

L'autore, Giuda, fratello di Giacomo e quindi uno dei «fratelli» del Signore, è uno pseudonimo com'è richiesto dallo stile apocalittico, ma anche dall'uso ormai invalso di attribuire autorità al proprio scritto. Se l'autore anonimo ha usato il nome di Giuda, vuol dire che l'apostolo aveva presso quei destinatari molto credito. Egli vuole mettere in guardia da personaggi che conducono in er­rore con le loro teorie contro la fede nelle potenze angeliche e nella divinità di Cristo e i loro comportamenti sessuali: l'inizio del fenomeno gnostico, ma non an­cora espresso in gruppi, bensì più verosimilmente da atteggiamenti individuali d'intellettuali razionalisti e libertini.

Anche la 2 Pt ha un problema simile a quello di Gd, a cui addirittura attinge. È il più tardivo dei tre documenti ed ormai tradisce chiaramente la transizione storica dall'era apostolica a quella postapostolica, che guarda alla dottrina degli apostoli come a un deposito di fede ormai consolidato. È ciò che ha reso 2 Pt so­spetta di «protocattolicesimo» e quindi non degna di figurare come canonica. Il K. difende invece le motivazioni della sua canonicità, le quali, se da un lato la fanno vicina alle lettere pastorali (Timoteo e Tito), canoniche, dall'altro sottoli­neano la connaturalità all'insegnamento perenne della dottrina cristiana, come attestata dal 1 Pt e da Gd, nel panorama storico-teologico delle quali essa va si­tuata.

Il commento del K. è essenziale, secondo i criteri della collana, ed equili­brato. La presenza di parecchi interessanti «excursus», arricchisce e completa il pregio di questo studio, che mette a portata di tutti tre documenti così significa­tivi della storia e della letteratura del cristianesimo primitivo.



 
 
 
 
 
 
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