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Recensione: Alviero Niccacci, Un profeta tra oppressori e oppressi. Analisi esegetica del capìtolo 2 di Michea nel piano generale del libro

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Alviero Niccacci, Un profeta tra oppressori e oppressi. Analisi esegetica del capìtolo 2 di Michea nel piano generale del libro , in Antonianum, 66/1 (1991) p. 155-156 .

Lo studio del N. è guidato da una forte preoccupazione metodologica. E ne ha ben donde. Oggigiorno, la ricerca in questo campo è vivace e controversa. Dopo decenni di pacifica accettazione di un certo uso della metodologìa starico-critica, l'avanzamento degli studi, in ambito biblico e non, ha sollevato con forza la questione del metodo. In particolare per l'AT, l'uso dicotomizzante e talvolta meccanico del procedimento storico-critico, da cui sono stati fatti scaturire dei ri­sultati «dogmatici» per la storia d'Israele, per l'esegesi e per la teologia, è stato sottoposto ad un severo giudizio. Il risultato è stato fondamentalmente di due tipi: o si è optato per nuove alternative metodologiche, che attingono alla sociolo­gia, alla psicanalisi e allo strutturalismo linguistico, oppure si è più modesta­mente, ma con non minore dignità scientifica, scelto di rinnovare profondamente il metodo classico basato sull'analisi storico-critica.

Gli effetti si fanno vedere nella sterminata congerie di studi che oggi circo­lano nelle stanze della scienza e che rendono sempre più frustrante una ricerca bibliografica che voglia essere completa e aggiornata.

Il presente studio del N. s'inserisce bene in questo panorama. Esso è il frutto del suo insegnamento allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e te­stimonia della volontà di offrire un ventaglio variopinto, quanto più possibile esaustivo, dei punti di vista dai quali si può affrontare un testo biblico.

Come dice il titolo, oggetto immediato d'analisi è Michea 2, ma in realtà il libro abbraccia l'interpretazione dell'intero libretto profetico.

Dopo una presentazione dello «status quaestionis» circa il problema metodo­logico in genere e quello attorno a Michea in specie, il N. comincia con lo svol­gere nel cap. 1 un'attenta analisi filologica di Mie 2, necessaria per conoscere il materiale linguistico di cui è fatto il testo; indi, passa nel cap. 2 ad eseguire un'a­nalisi sincronica, cioè un'analisi di Mie 2 così com'è stato consegnato a noi nel testo massoretico; in tale quadro d'analisi viene esaminato anche il più ampio complesso dei ce. 2-5. L'autore si preoccupa di sottolineare che, al contrario di quanto si fa di solito, egli dà un valore prioritario a questo tipo d'analisi rispetto a quella che segue nel cap. 3, l'approccio diacronico, il quale, a detta del N., tradi­zionalmente, ha dato la stura alle ipotesi più varie e talora gratuite degli studiosi. Nei ce. 4-6, si ha l'esegesi particolareggiata di Mie 2, introdotta da un discorso ar­ticolato sulla questione sociale del periodo storico di Michea. Nel cap. 7, infine, che porta il titolo: «Dall'interpretazione alla proclamazione», l'autore analizza dapprima le risonanze del testo in questione nelle varie versioni antiche; indi, passa a tracciare alcune linee accettabilmente pudiche che possano servire all'at-tualizzazione odierna.

Come si può notare, lo studio del N. è denso e pieno di stimolazioni accade­miche. Si deve tuttavia rilevare una certa mancanza di unitarietà, solo formal­mente ricercata: in realtà, ci si trova di fronte ad un affastellamento di fasi d'ana­lisi e di problematiche, che non può evitare delle ripetizioni d'argomento o delle disarticolazioni che avrebbero potuto essere raccolte in uno stesso capitolo. Que­sta è un'osservazione generale. Ve ne sono alcune, poi, particolari.

Quando il N. parla di piano sincronico, non sembra che egli vi annetta quel significato che l'espressione ha in campo linguistico. In altri termini, egli non pare intendere lo stato sincronico come un testo che allo stato attuale abbia un suo funzionamento intrinseco che rende secondario l'approccio diacronico. In realtà, il N., nell'analizzare magistralmente il testo attuale così com'è, fa né più né meno di quanto si fa di solito in un normale commentario. Da qui la sensazione di ripe­titività analitica.

Connessa con questa questione ve n'è un'altra. Noi siamo d'accordo con l'au­tore che l'analisi sincronica abbia un valore fondamentale ed attualmente priori­tario, per correggere l'esasperazione di un'analisi atomizzante dai risultati pinda­rici talora gratuiti. Ci sembra, però, anche che il N. risolva troppo pregiudizial­mente il problema della sincronicità a favore dell'autenticità micheana. Proprio l'analisi sincronica del testo così com'è, sostenuta dalla filologia, dovrebbe far scoprire la rilettura esilico-postesilica del libretto profetico. E invece (ecco la pre­giudiziale), l'autore respinge il concetto di esilio corrente (vedi alle pp. 136-138), tratto del resto dal testo biblico stesso, per accreditare un non meglio identificato terzo esilio, quello del 701 a.C. ad opera del re assiro Sennacherib. Ma di ciò, come ammette il N. stesso, le fonti bibliche tacciono. Ora, tale silenzio può essere riempito dalle fonti assire coeve, ma perché non interpretare il concetto di esilio a partire dall'interno di quello che la fonte biblica afferma, reticente o no, ideolo­gica o meno? Il concetto di esilio che l'AT accredita con preferenza, è soprattutto quello babilonese (neanche quello, pur ammesso e presente, dopo la caduta del regno del nord): una cosa è l'archeologia e la storia extra-biblica, un'altra è lo stato attuale (sincronico!) dei testi, con tutto un lessico tipico (vedi qehal YHWH di Mie 2,5 e il «rimpatrio» dei w. 12-13).

La piacevolezza di questo confronto è una prova di quanto sia interessante e stimolante lo studio del N., che in esso ha saputo profondere la sua esperienza di docente e di studioso sensibile.



 
 
 
 
 
 
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