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Inaugurazione dell'Anno Accademico 1990/1991: I. Saluto del P.Vicario Generale Fr. Romain Mailleux

 
 
 
Foto Mailleux Romain , Inaugurazione dell'Anno Accademico 1990/1991: I. Saluto del P.Vicario Generale Fr. Romain Mailleux, in Antonianum, 66/1 (1991) p. 172-173 .

Il giorno 8 novembre 1990 si è svolto, come negli anni precedenti, l'Atto ufficiale d'inaugurazione dell'Anno Accademico 1990-1991 e di comme­morazione del Ven. Giovanni Duns Scoto.

I - Saluto del P. Vicario Generale Fr. Romain Mailleux

Il Ministro Generale, impossibilitato a presenziare a questa inaugu­razione dell'anno accademico perché trattenuto fuori d'Italia da altri im­pegni anch'essi legati al suo ufficio e indifferibili, mi dà il sempre gradito incarico di trasmettere a tutti voi il suo saluto augurale di Ministro del nostro Ordine e Gran Cancelliere di questo Ateneo.

A questo saluto e augurio vorrei associarmi anch'io, in piena condi­visione della stima che il Ministro Generale nutre per tutti voi; stima che è a sua volta espressione della ammirazione e della gratitudine di tutto l'Ordine. Riconosciamo l'impegno dei Docenti, degli Ufficiali, degli Ad­detti e dei benefattori a questo Ateneo: impegno perché l'Ateneo cresca di anno in anno in quella adeguatezza continuamente richiesta dalla Chiesa e dalla società. Adeguatezza dei servizi più direttamente culturali e di quelli attinenti alla funzionalità organizzativa, non meno importanti.

Un doveroso riconoscimento e ringraziamento, va anche agli stu­denti, che vediamo crescere di numero. La loro presenza e il loro impe­gno è valido e pressante stimolo alla migliore efficienza e di questo Ate­neo e degli altri Centri di studio. Siamo grati agli studenti e alle loro Pro­vince: di cui apprezziamo la sensibilità per il cammino della cultura.

L'anno accademico che inauguriamo può approfittare, credo, di due importanti sollecitazioni che provengono da due recenti fatti, di cui è viva ancora la eco. Un evento di portata universale ecclesiale quale quello del recente Sinodo dei Vescovi e uno, più interno alla vita del nostro Or­dine, ma non per questo staccato dalla vita ecclesiale del nostro stesso Ordine, quale il recente Convegno di Assisi dei Maestri dei frati di Pro­fessione temporanea (dal 6 Ottobre al 3 Novembre).

Non facciamo, certo, un confronto delle proporzioni dei due avveni­menti, ma rilevarne il nesso più che legittimo è doveroso. E il nesso è ri­conducibile, fra l'altro, a quell'impegno crescente nel nostro Ordine per precisare l'identità e il ruolo del frate nella situazione attuale. Il frate per oggi, il frate per domani.

Può darsi che l'informazione giornalistica abbia enfatizzato e sempli­ficato la finalità del Sinodo sintetizzandola nella formula: «come sarà il prete che si affaccia al terzo millennio»; ma è chiaro che il Sinodo ha in­teso affrontare il problema della identità e del ruolo del prete nelle situa­zioni effervescenti del nostro tempo. Il cuore del problema è, appunto, la chiarezza delle identità e, di conseguenza, dei ruoli. Per noi, identità del

l'Ordine, identità del frate; ruoli conseguenti e coerenti. A nessuno di noi sfugge la valenza culturale e la stessa complessità del problema.

A individuare nel modo più centrato l'essenza di quella identità — ma a renderne anche più impegnativa la ricerca — contribuisce la diver­sità dei mondi umani ed ecclesiali che oggi è resa ancor più evidente dai rovesci storici cui abbiamo assistito in questo anno. Quasi una scoperta, certamente una riemersione di mondi che credevamo irrecuperabili e che invece erano vivi sotto la cenere. Non si tratta tanto di dire se «l'univo­cità», quanto alla identità del prete o del frate, è finita; si tratta in ogni caso di accettare che il nocciolo della questione sia diventato più raffi­nato. È chiaro che non si potrà più affrontare il problema solo a partire da categorie teologiche e neppure riduttivamente bibliche; si dovrà par­tire da una «storia» che si rivela ogni giorno di più, o, da una bibbia che la storia ci guida a comprendere sempre meglio.

Le tensioni del Sinodo, con le grandi emozioni venute dai mondi dell'Est, di recente ri-rivelazione, lo confermano; ma anche il nostro Convegno di Assisi non ci ha offerto semplicemente una gradevole co­reografia della vastità del nostro Ordine; semmai — e senza volere a no­stra volta enfatizzare — ci ha dato la misura drammatica della urgenza della chiarezza quanto alla identità del frate e del suo ruolo per l'oggi e per il domani.

Identità umana, identità cristiana, identità religioso-profetica, iden­tità francescano-profetica. Con le relative «basi»: intellettuali, dottrinali, tecniche. E, a monte e fondamento di tutto questo, quella «base» che fa del frate un uomo per Dio un uomo per l'uomo e un uomo per il mondo, ma che, nello stesso tempo, si proponga come alternativa alle situazioni di sfascio che oggi si verificano. Esiste un mondo accettabile e un mondo inaccettabile.

Se la formazione mira a formare il discepolo come figura non uni­voca ma certamente inequivocabile, non è difficile capire come questo grande centro di formazione, quale non può che essere un Ateneo, si trovi oggi impegnato in una difficile impresa formativa: seminare cultura non come una soprastruttura che non incide sul cuore del problema, cioè sulla identità, ma come azione in profondità che metta in movimento corretto il germe che Dio ha deposto nel cuore degli studenti. I quali de­vono crescere chiaramente uomini, chiaramente cristiani; uomini liberi, come Francesco, ma, come lui, anche profeti.

Per questa impresa, che vede docenti impegnati, strutture efficienti, studenti disposti al massimo dell'ascolto e della recettività, va l'augurio di tutto l'Ordine, del Ministro Generale e del suo Definitorio e mio per­sonale.

A tutti: auguri di buon lavoro e di pieno successo. Grazie.

 


 



 
 
 
 
 
 
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