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Recensione: Luigi Moraldi (a cura di), I manoscritti di Qumràn. Seconda edizione accresciuta

 
 
 
Foto Herman Z.I. , Recensione: Luigi Moraldi (a cura di), I manoscritti di Qumràn. Seconda edizione accresciuta , in Antonianum, 62/1 (1987) p. 125-128 .

 

La prima edizione di questo classico fra le traduzioni dei manoscritti di Qumràn apparve nel 1971 ed ebbe una prima ristampa nel 1974. In tre lustri il volume si è affermato, e non solo nel campo italiano, come una delle migliori introduzioni-edizioni dei famosi rotoli, che hanno tanto vivacizzato e in taluni casi ridimensionato la discussione sul giudaismo palestinese intertestamentario nonché sulle origini stesse del cristianesimo.

Questa seconda edizione accresciuta si rivela tale soprattutto coll'ag-gìunta di due nuovi testi: il Rotolo del Tempio e il Targum di Giobbe, pubblicati nella « editio princeps » rispettivamente solo nel 1977 e nel 1971.

1) Fin dal 1967 si sapeva dell'esistenza del Meghillat hammiqdash, il Rotolo del Tempio, grazie anzitutto alle pubblicazioni di Yigael Yadin, che poi ne è stato anche l'editore. La pubblicazione è stata ritardata prin­cipalmente a causa del pessimo stato di conservazione del Rotolo, della lettura faticosa di molte colonne e l'ampiezza del testo; si tratta infatti del più lungo rotolo ritrovato a Qumràn. Tutte cose che, come nota Moraldi nella sua introduzione (p. 732), « giustificano ampiamente i dieci anni passati dall'acquisizione alla pubblicazione del testo... Si noti inoltre che in questo periodo lo Yadin era impegnato oltre che nelle attività accademiche anche in quelle politiche e di governo ». Moraldi traccia in seguito, con stile vivace e giornalistico, la vicenda per certi versi umo­ristica del ritrovamento del Rotolo, che vale la pena di essere raccontata anche in questa sede, per evidenziare come la historia, « la vecchia astu­ta» (Hegel), riporti alla luce i suoi pezzi migliori. A parte il fatto pura­mente casuale del ritrovamento del Rotolo in una delle grotte di Qumràn (classificata oggi con la sigla 11Q), il manoscritto finì nelle mani di un ricco antiquario di Betlemme, Halìl Iskandar Shahin, che non volle, da buon conoscitore, cederlo allo Yadin a prezzo troppo basso. Ci fu poi, in questo caso provvidenzialmente, la guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967), Betlemme fu occupata dalle truppe israeliane e in quest'occasione (anche qui per puro caso?) fu scoperto il nascondiglio, sotto il pavimento della casa dell'antiquario betlemmita, nel quale in una specie di scatola cinese, hanno trovato in una scatola per sigari, contenuta nella scatola per scarpe, il Rotolo del Tempio. Tutto ovviamente fu sequestrato, sotto la guida — guarda caso — dello stesso Yadin. L'antiquario Halìl non ce­dette tuttavia troppo facilmente i propri diritti e l'intera faccenda fu chiusa in suo favore con il pagamento di 105.000 dollari da parte del governo israeliano.

Purtroppo il Rotolo, a parte — come già accennato — la cattiva conservazione dei 19 fogli di pergamena sottile (9 metri in tutto, lar­ghezza di cca 46cm e altezza cca 25cm), non è completo: l'inizio è andato perduto e mancano le prime linee di ogni colonna (66 in tutto). Più di un scriba ci ha lavorato sopra, come si può dedurre dal diverso tipo di scrittura. Si suppone che il Rotolo fosse ricopiato grosso modo tra la fine del 1° sec. a.C. e l'inizio del 1° sec. d.C. Dalle ricerche dello Yadin risulta che a Qumràn vi erano più copie del Rotolo e la scrittura di alcuni frammenti, del tipo asmoneo, fa risalire la datazione al 125-100 a.C. Per l'ambientazione asmonea del Rotolo depone anche l'interesse dello scritto per i problemi tipicamente militari (a differenza della prospettiva escatologica della Regola della guerra) per cui sembra probabile la con­gettura di Moraldi di « ambientarlo in un periodo quale quello di Gio­vanni Ircano, che condusse una politica di forte espansione» (p. 735). La colonna LXIV parla della pena della crocifissione e dell'impiccagione, ambedue in uso durante il periodo asmoneo.

Dal punto di vista letterario il Rotolo si presenta per intero come un discorso, una rivelazione diretta di JHWH in prima persona, fatta in gran parte in forma di citazioni bibliche, rielaborate e sisistemate. Interessante il fatto che il testo biblico delle citazioni sia spesso più vicino al testo basilare dei LXX che al TM. Una delle preoccupazioni essenziali del Rotolo è l'esigenza rigorosa della purità sacrale, della san­tità con tutta la gamma di purificazioni immaginabili. Non a torto quindi J. Maier sostenne che fosse più aderente al contenuto la denominazione di « Rotolo di santità » (cf. Id., Die Tempelrolle vom Toten Meer, Mùnschen-Basel 1978). L'attuale nome «Rotolo del Tempio» fu coniato solo in base alla descrizione della costruzione del tempio contenuta soprattutto alle coli. IIIss e XXIXss. C'è in questa descrizione tutta la visione teo-logico-sacrale che sta alla base del Rotolo. Si incomincia dalla parte più interna del tempio, dal « Sancta sanctorum », e si « procede allontanan­dosi dal centro verso l'esterno (con una diminuzione progressiva della sacralità dei luoghi descritti) attraverso i cortili concentrici riservati ciascuno a persone con differente grado di purità rituale: sacerdoti, uomini ritualmente puri, donne e bambini. Si esce quindi fuori dal tem­pio, nella città santa, e infine si considera la terra di Israele. Ad ognuno di questi luoghi corrispondono esigenze particolari di purità, e il Rotolo riferisce le norme che li interessano» (p. 737). E' ovvio che si tratti del tempio ideale come JHWH stesso l'avrebbe voluto; è altrettanto sottesa la viscerale critica al reale tempio di Gerusalemme. Il Rotolo conferma inoltre quanto già si sapeva del calendario particolare in uso a Qumran: l'anno è diviso in 12 mesi di 30 giorni più un giorno ogni tre mesi (= 364 giorni). Il fatto calendaristico nuovo che risulta dal Rotolo è che alcune feste, a distanza regolare di 50 giorni, cadevano il giorno dopo il sabato, cioè di « domenica »: la festa del primo covone, del vino nuovo e dell'olio nuovo. Moraldi ne trae la conclusione interessante, anche se può sem­brare un pochino anacronistica e difficilmente probabile: « ciò potrebbe contribuire alla comprensione della scelta della domenica, in luogo del sabato, come giorno festivo da parte dei cristiani» (p. 738).

La traduzione del Rotolo è preceduta da un'ottima Nota bibliografica (pp. 739-41), aggiornata fino al 1983. Per facilitare la lettura del testo, lacerato e fortemente lacunoso, Moraldi ha introdotto i titoletti all'inizio delle nuove sezioni e ha provveduto ad integrare il testo perduto « ricor­rendo a frammenti di diversa origine, o a passi paralleli del Rotolo stesso o dei testi biblici » (p. 738) indicandolo con i numeri preceduti da uno zero. Da notare inoltre l'ottimo apparato critico con nutriti riferimenti biblici e annotazioni esegetiche di alto livello.

2) L'altra novità della presente edizione è il Targum di Giobbe (11 Q tg Job), molto più breve del Rotolo del Tempio, ma non per questo meno interessante (cf. pp. 813-849). Anche in codesto caso il ritrovamento fu casuale, da parte di alcuni beduini nel 1956. L'acquistò subito tuttavia il Palestine Archaelogical Museum di Gerusalemme, ma la pubblicazione fu affidata alla Reale Accademia Olandese delle Scienze. L'editio princeps uscì solo nel 1971 a cura di J.P.M. van der Ploeg e A.S. van der Woude. Del rotolo originale si è conservata una minima parte: un piccolo rotolo continuo (lungo 109 cm e largo cca 5 cm) con la traduzione targumizzata di Gb 37,10-42,11 nonché ventisette frammenti contenenti le « schegge » di Gb 17,14-36,33. La scrittura risale all'ultimo periodo erodiano per cui il manoscritto non sembra essere posteriore al 70 d.C; si tratta ovviamente di una delle ultime copie di un testo molto più antico, che per le sue caratteristiche linguistiche potrebbe essere situato anche verso la seconda metà del 2° sec. a.C. per cui ci troveremmo di fronte al più antico targum restituitoci finora dalla « vecchia astuta ». Tuttavia si sa come le data­zioni dell'antico materiale rimangono dubbie quando sono basate sola­mente su criteri linguistici, come nel nostro caso. La traduzione molto letterale e scevra di amplificazioni midrashiche del Targum di Giobbe non giustifica da sola l'antichità del testo, perché in molti casi la lingua aramaica si rivela più povera del TM.

Gli accorgimenti stilistici del targumista nel tradurre Gb sono di vario genere. Si nota per es. una insistente predilezione per la frase af­fermativa, che si trova anche lì dove il TM suppone un chiaro punto interrogativo; l'espressione un po' spinta di Gb 31, lOb viene cancellata di modo che alla moglie di Giobbe potrà accadere al massimo di maci­nare « per un altro », ma non che « altri ne abusino »; si evitano con cura antropomorfismi « o espressioni che potrebbero sembrare irriverenti nei riguardi di Dio» (p. 816); la stessa figura di Giobbe viene idealizzata (Moraldi ne elenca a p. 816 alcuni esempi presentati con dovizia di parti­colari), ecc. La traduzione del Targum viene anche qui opportunamente preceduta dalla Nota bibliografica suddivisa in /. Edizioni e traduzioni;

2. Studi particolari (fino al 1982; cf. tuttavia la svista tipografica per Fitz-myer pp. 821. 827).

3) Alla fine del volume troviamo sei utili Indici: a) delle abbreviazioni dei manoscritti; b) delle abbreviazioni di riviste e collezioni; e) degli autori citati; d) delle citazioni bibliche; e) degli argomenti principali; /) delle tavole (in questa edizione sono state omesse le tavole di II Q Ps' XXVI-XXVII, di 4 Q 169 e la fotografìa, di scarsa efficaica tecnica, di Khirbet Qumràn). Per quanto riguarda l'Indice degli autori abbiamo riscontrato non pochi errori di riferimento alle rispettive pagine, soprattutto per le pp. 94-97.104-106, ecc. (sono tutti riferimenti all'impaginazione delle edi­zioni precedenti). A. Penna si trova anche a p. 94 e H. Stegemann a p. 98; l'autorevole edizione dei testi di Qumràn di E. Lohse non viene citata a p. 93; il libro di M. Hengel è rimasto alla 1" ed. (p. 95) e del « classico » di E. Schiirer (p. 96) non si menziona la completamente riela­borata edizione inglese (di cui è in corso anche la traduzione italiana). Nella bibliografia meriterebbe un posto d'onore anche lo studio di E.P. Sanders su Paolo e il giudaismo palestinese (Paideia 1986; ed. orig. 1977!) il quale ha dedicato a Qumran pagine memorabili che dovrebbero senza alcun dubbio essere integrate nella discussione sia nella Introduzione generale che in quella esegetica svolta nell'apparato critico, ecc.

Superfluo sprecare gli elogi a Luigi Moraldi: egli stesso è cosciente che la presente edizione de I manoscritti di Qumràn è l'opera « tuttora unica nel suo genere » (p. 8). Le possiamo solo augurare lunga vita e un posto riservato accanto alla Bibbia di ogni uomo di cultura. E non unicamente a causa dell'ottima veste tipografica fatta su misura e firmata dalla UTET, una delle migliori stiliste del settore.

 

 

 

 


 

 

 



 
 
 
 
 
 
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