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Recensione: Hans Conzelmann - Andreas Lindemann, Guida allo studio del Nuovo Te¬stamento. Edizione italiana a cura di Mauro Pesce

 
 
 
Foto Herman Z.I. , Recensione: Hans Conzelmann - Andreas Lindemann, Guida allo studio del Nuovo Te¬stamento. Edizione italiana a cura di Mauro Pesce , in Antonianum, 62/1 (1987) p. 128-134 .

La benemerita Editrice Marietti non poteva scegliere il libro mi­gliore per aprire la serie Strumenti della Collana Commentario storico-esegetico dell'Antico e del Nuovo Testamento. Si tratta invero di un Arbeitsbuch, uno strumento di lavoro, come viene d'altronde intitolato l'originale tedesco uscito nella prima edizione ancora nel 1975. In dieci anni ha avuto otto ristampe; l'ultima è del 1985 in complessivi 52.000 esemplari, un record per un manuale specializzato di esegesi. Pratica­mente quasi ogni anno esce una nuova edizione in Germania, mai la stessa, sempre durchgesehene, oppure verbesserte, o addirittura erganzte, come giustamente si addice a un volume del genere che abbisogna di continuo aggiornamento, sia bibliografico che di contenuto, per tenersi al passo della sempre più veloce e feconda discussione esegetica. La pre­sente traduzione italiana è stata fatta in base alla 78 ed. tedesca del 1983, per cui già venendo alla luce si presenta in qualche modo « invecchiata » poiché nel Vorwort all'ottava ed. tedesca gli autori assicurano che il libro è stato « abermals durchgesehen und an einigen Stellen ergànzt; die Literaturangaben wurden erneut aktualisiert » (p. VI). Il fatto in sé tut­tavia non pare grave perché siamo sicuri che anche la traduzione italiana avrà presto una nuova ristampa nella quale si potrà provvedere ad un adeguato aggiornamento.

Mauro Pesce, il curatore dell'edizione italiana, ha premesso al volume una nutrita  Introduzione,   definendolo  un   « manuale  pratico »   con   lo scopo  di   « fornire  un   servizio  prezioso   alla  formazione   esegetica  nel lavoro  seminariale ed  istituzionale »,  perché  l'« orientamento   metodolo­gico di Conzelmann e Lindemann è quello di una sicura esegesi storica, imprescindibile non solo per la conoscenza del cristianesimo primitivo e come base per la riflessione teologica, ma anche per quella meditazione o utilizzazione spirituale della Scrittura oggi particolarmente sentita in alcuni settori del cattolicesimo italiano » (p. XIII). Si tratta di uno stru­mento  iniziale,   di  base,   radicalmente   diverso   dalle   solite   tradizionali Introduzioni al Nuovo Testamento soprattutto perché vuol formare « una conoscenza personale profonda e una capacità di giudizio  e  di lavoro autonomo sul testo ... Nasce così una struttura in tre parti di ciascun paragrafo:   esposizione  di  nozioni  essenziali,  indicazione  di una biblio­grafia fondamentale, proposte concrete di lavoro per appropriarsi e veri­ficare i risultati della ricerca presentati nel testo»  (p. XIII). In questa prospettiva le indicazioni bibliografiche perdono la solita posizione secon­daria e quasi superflua, ma rimandano « a quei lavori fondamentali che il principiante deve conoscere e con i quali deve misurarsi in un lavoro personale » (ibid.). Il curatore italiano dell'opera ha deciso molto oppor­tunamente di integrare i dati bibliografici, quasi tutti — benché di fonda­mentale importanza — in  lingua  tedesca,   difficilmente  accessibili  allo studente anche impegnato. Tuttavia questo aggiornamento bibliografico ci pare spesso molto lacunoso e offre un'immagine povera, quasi autolesio­nista, dell'esegesi italiana,  del tutto  immeritata.  Alcuni esempi:   per  il Vangelo di Matteo il curatore non ritiene necessario indicare due com­mentari di alta qualità,  « fatti in casa »,  di O. Da  Spinetolì  (lo  stesso vale per il suo commento a Le) e quello di R. Fabris; la fatica giovannea di S.A. Panimolle è del tutto ignorata  (anche se a p. 282  si rimanda all'articolo di G. Ghiberti, « Monografie sul quarto vangelo in italiano », per altro già datato); alla traduzione italiana della fondamentale opera introduttoria al NT nel campo cattolico, di A. Wikenhauser-J. Schmid, si fa accenno solo fugacemente due volte (cf. pp. 59.62) e per di più indi­candola nella vecchia  edizione   del   1966   ignorando   quella   « completa­mente rifatta » a cura di J. Schmid (1973)  e pubblicata in italiano  da F. Montagnini nel 1981 presso la Paideìa, mentre la sua « rivale » protestante di W.G. Kummel viene citata con abbondanza, benché ne manchi la trad. ital.; è del tutto sottaciuta la valida, e per molti versi originale, Introduzione al NT, tutta « italiana », a cura di G. Rinaldi e P. De Bene­detti (Morcelliana 1971), ecc. Si potrebbero allungare gli esempi per un bel pezzo. Sono tuttavia cose che potranno facilmente essere ridimen­sionate nelle prossime edizioni della Guida.

L'impostazione metodologico-pedagogica del presente volume è fon­data interamente sulla strettissima connessione tra esegesi del testo e sua interpretazione storica, come viene con molta chiarezza rilevato da M. Pesce. Vale la pena, per diversi motivi, citare le parti rilevanti del suo identikit della Guida:

« Ciò  sta a significare che l'esegeta non deve solo preoccuparsi di una corretta analisi filologico-letteraria, ma che un'ermeneutica adeguata esige anche la capacità di interpretare il testo in connessione con gli avvenimenti storici, politici, sociali e religiosi dell'epoca (il che implica una  formazione  antichistica   [sic!]   di  base).   Solo   dopo   questa   doppia fase introduttoria è possibile pervenire all'esegesi degli scritti neotesta­mentari. La parte terza è appunto dedicata all'esegesi dei vangeli, delle lettere paoline e degli altri scritti, con un'appendice sui cosiddetti Padri apostolici in parte coevi con i più recenti testi del NT. E' infatti esi­genza elementare di una corretta storia della letteratura che tutti i testi protocristiani coevi vengano studiati contestualmente, al di là della loro successiva valenza canonica. Le parti quarta e quinta, dedicate rispetti­vamente alla ricostruzione della vicenda di Gesù e della storia del cristia­nesimo primitivo, costituiscono, nell'intenzione degli Autori, non un'appen­dice, ma lo sbocco necessario dell'esegesi. Un'analisi filologica e storica dei singoli scritti protocristiani ha infatti, come scopo, quello di appu­rare come i fatti si sono storicamente svolti, offrendo la possibilità di ricostruire la storia del cristianesimo primitivo, quale sbocco e risultato finale  dell'esegesi.  Su  questa  storia  il  teologo  potrà  poi  costruire,   se lo vuole, una teologia adeguata al dato protocristiano»  (pp. XIII-XIV).

Come un dato « meno esemplare per il lettore italiano » il Pesce pun­tualizza non le parti strettamente esegetiche, ma « quelle di sintesi storica (relative al giudaismo, all'ambiente storico, politico e sociale, alla storia del cristianesimo primitivo)... più fedele ai risultati dell'esegesi tedesca fino agli anni Settanta che alla ricchezza, mobilità e problematica del­l'attuale panorama della ricerca internazionale, dove già stiamo assi­stendo ai primi tentativi, per quanto provvisori, di ricostruzioni rinno­vate » (p. XIV). Giustamente viene sottolineata la necessità di una radi­cale revisione della sintesi storica del giudaismo intertestamentario da parte della storiografia cristiana, seguendo le orme di E.P. Sanders, M. Hengel, J. Maier, P. Schàfer e nel campo italiano — sulla parola di M. Pesce — quelle del recente contributo di F. Parente, « Il pensiero politico ebraico e cristiano », in Storia delle idee politiche, economiche e sociali (a cura di L. Firpo), Torino 1985, 3-478. In questo senso nella trad. ital. si è provveduto ad una nutrita rielaborazione della bibliografia all'inizio del § 19 sul Giudaismo (pp. 156ss). Per quanto riguarda le parti di indole strettamente storico-archeologica (Pesce direbbe « antichistica »), il curatore dell'ed. ital. con soddisfazione constata: « L'antichistica ita­liana offre all'esegeta neotestamentario un patrimonio ricchissimo di ri­cerca » (p. XV), additando soprattutto i nomi di S. Mazzarino e A. Momi­gliano. In quest'ottica il libro è stato « italianizzato » a sufficienza.

Ci sembra tuttavia che la fatica del curatore italiano « di favorire una vera e propria assimilazione della proposta esegetica di Conzellmann e Lindemann » (p. XV) si sia fermata all'aggiornamento bibliografico (ben­ché discutibile e lacunoso, come visto sopra). Ovviamente il curatore non aveva alcun diritto di ritoccare il testo stesso della Guida. Sorprende tuttavia non poco il fatto che nell'Introduzione non si faccia alcun ac­cenno al profilo confessionale dell'opera di Conzelmann-Lindemann. L'os­servazione potrà sembrare fuori luogo e la si potrà facilmente accanto­nare con l'altrettanto facile asserzione (in taluni casi vera) sulla sopra­confessionalità dell'esegesi, e facendosi scudo con gli oramai comuni metodi di ricerca e di analisi e quindi, sotteso, anche di risultati. Per quanto riguarda il lato « antichistico » della ricerca, il problema non si pone per ovvie ragioni. La cosa cambia invece nel momento in cui si passa all'esegesi dei testi e dei dati principali della tradizione neotesta­mentaria dove la discussione « antichistica », per quanto importante fosse, cede il passo al Credo ecclesiale e nell'esegeta credente scatta la molla del « credo ut intelligam », o, in termini bultmanniani, esce allo sco­perto il suo Vorverstandnis, la sua precomprensione ecclesiale, culturale, psicologica o qualsivoglia. Ancora nel 1937 il grande vecchio di Marburg ha decretato senza mezzi termini l'impossibilità di un'esegesi priva di pre­supposti (cf. ThZ 13, 1937, 409-417; trad. ital. R. Bultmann, Credere e comprendere, Brescia 1977, 799-807). Ebbene, i due autori della nostra Guida sono di stretta discendenza, anche se non di altrettanta osser­vanza, bultmanniana, che si esplicita concretamente in alcune posizioni di estremo peso teologico-esegetico. Taluni esempi solamente:

- senza mezzi termini viene affermato che le « predizioni della passione ... non sono parole storiche di Gesù. Si tratta di confessioni di fede della comunità cristiana, poste sulla bocca di Gesù in un secondo tempo (vaticinia ex eventu) » (p. 255); conclusione ovvia: Gesù andava verso la fine violenta ad occhi chiusi senza dare un significato soterio-logico alla propria morte, ecc.;

- per i vangeli si evidenzia categoricamente che « in nessun modo possono essere considerati testimoni storici attendibili » (p. 333), anche se si distingue naturalmente che « è caratteristico del genere letterario "vangelo" essere diverso dal resoconto storico » e che « sarebbe errato concludere, dal fatto che i vangeli vogliono essere testimonianze di fede, che non è lecito utilizzarli come fonti storiche » (p. 334). La Guida adopera spesso questo stile sfuggente, involuto, e per certi versi contrad­dittorio, che mette lo sprovveduto guidato a dura prova se a sua volta manchi di guida di uno specialista in materia;

- dall'analisi delle storie della nascita di Gesù in Mt e Le risulterebbe « che si tratta esclusivamente di materiale leggendario », benché « esso getta una qualche luce sulla provenienza di Gesù e anche sul suo luogo di nascita» (p. 345), che secondo gli Autori è Nazaret, mentre Betlemme è solamente « un'esigenza di una determinata prospettiva sul messia » (p. 346). Tutto viene comprovato con un discutibile argumentum ad homi­nem: « Quale senso ha un accertamento fiscale fatto non nel luogo di abitazione e di lavoro, bensì nella patria della famiglia?» (p. 346);

-  la paternità reale dì Giuseppe nei confronti di Gesù, « che aveva fratelli e sorelle» (p. 351), è un dato pacifico; il «sommario» storico di tutta l'attività pubblica di Gesù e dell'impatto che ebbe sui contempo­ranei risulta molto magro:   « L'unica cosa storicamente certa è il fatto che alla sua morte esisteva un gruppo di suoi seguaci. Se da esso Gesù abbia scelto già durante la sua vita una cerchia più ristretta di dodici, o se tale cerchia sia stata composta soltanto in base alle apparizioni del Risorto, resta questione aperta »  (p. 352). Siamo al culmine dello scet­ticismo bultmanniano che gli Autori professano con molta onestà e al quale il curatore italiano sembra associarsi, visto che non sente la neces­sità di  « verificare » queste osservazioni nemmeno con una noticina in margine. Ovviamente «alcuni settori del cattolicesimo italiano» (p. XIII), ai quali il libro si rivolge con «una sicura esegesi storica» {ibid.), non ne hanno bisogno;

- per quanto concerne i titoli cristologia e la rispettiva questione dell'autocoscienza messianica di Gesù, gli Autori, dopo un'analisi tanto attenta quanto unilaterale  (cf. pp. 372L78), riepilogano categoricamente: « Per quanto ci è dato di vedere, Gesù non ha usato in riferimento alla sua persona nessuno  dei titoli cristologici  menzionati nei  sinottici. Di conseguenza è impossibile ricostruire l'autocoscienza di Gesù sulla base dei titoli della tradizione sinottica» (p. 378). Non rimane traccia nemmeno del titolo « Figlio dell'uomo » sulla cui autenticità gesuana tuttavia oggi la maggioranza di esegeti, e non solo cattolici, non ha dubbi;

- anche se si riconosce di essere «sul piano delle ipotesi» (p. 379), sulla passione di Gesù si potrebbe dire solamente:   « L'unico dato stori­camente verto è che Gesù, di fatto, si recò a Gerusalemme, qualunque sia stato il motivo che lo spinse a questo. E là egli fu crocifisso » (p. 379). L'Ultima cena è vista solamente come tale, cioè appunto  « l'ultimo pasto consumato da Gesù con i suoi discepoli prima della sua "conse­gna"' ... In origine, il racconto della cena era una leggenda cultuale, non legata a dati temporali e senza riferimento alla festa della pasqua ... » (p. 382). A chi volesse  sapere magari di più  « su un possibile nucleo storico» {ibid.), gli Autori rispondono ricordando  «ancora una volta il principio metodologico già menzionato: è chiaro che Gesù ha consumato un ultimo pasto con i discepoli;  ma il racconto  dell'ultima cena non contiene il ricordo storico di questo pasto. Questa pericope piuttosto è intenzionalmente composta come racconto dell'istituzione del sacramento, poiché presuppone la morte di Gesù »  (ibid.). Secondo le premesse del metodo conzelmanniano Gesù non aveva dato alcun valore soteriologico-sacramentale alla propria morte, o almeno così sembra dalle fonti, e dunque tutto il profilo teologico dell'Ultima cena è una costruzione post-pasquale, un « tema gravato dalla tradizione dogmatica » (p. 372) della comunità primitiva;

- la presentazione della vicenda storica di Gesù, alla quale è dedi­cata la Parte Quarta del volume (pp. 329-87), chiude con la pericope di « tratti leggendari » (p. 384) della deposizione nel sepolcro: « Assodati gli episodi della condanna e della crocifissione, sul piano storico non si può accertare di più» (p. 384);

- la questione della risurrezione è rimandata alla Parte Quinta (pp. 389ss) che si occupa della « Storia del cristianesimo primitivo ». Spiegando l'origine della chiesa, dopo aver ribadito che « non pochi fattori si oppon­gono all'idea che la cerchia dei dodici sia stata radunata da Gesù stesso ... » (p. 398), si fa il seguente asserto: « Presumibilmente l'origine della chiesa va spiegata nel seguente modo: all'inizio si ha la visione di Pietro, il quale dalla "sua" apparizione concluse che doveva costituire il popolo di Dio del tempo della fine, vale a dire i dodici come rappresentanti della chiesa» (p. 389). La storicità della risurrezione di Gesù, ossia «la domanda se la risurrezione di Gesù sia un "evento storico" va respinta a priori » (p. 400), perché « storicamente si può solo constatare che deter­minate persone, dopo la morte di Gesù, affermarono di aver fatto espe­rienza di un accadimento che esse definirono come visione; e la rifles­sione su questo fatto esperimentato condusse costoro alla seguente inter­pretazione: Gesù è stato risuscitato » (p. 400). Gli Autori hanno fatta qui propria la citazione di W. Marxsen (cf. anche i suoi due scritti ai quali si rimanda nella Bibliografia alla p. 398), di cui le posizioni al proposito son ben note. Benché in termini più sfumati, si arriva, senza dirlo espli­citamente, alla solita « soluzione »: Gesù è risorto nella fede degli apo­stoli. La realtà delle apparizioni sta nel fatto che « costoro giunsero alla convinzione che il Gesù crocifisso era stato risuscitato da Dio e che essi stessi costituivano sulla terra l'escatologico popolo di Dio » (p. 400). Sul piano concreto « la fede nella risurrezione di Gesù significa, per i cri­stiani, il compito di fare la missione, annunciando in tutto il mondo l'azione salvifica di Dio» (p. 400).

Abbiamo lasciato la parola agli Autori, cercando di non travisarla e rispettando il contesto. Si tratta di pronunciamenti sui tratti essenziali della fede cristiana. Altri problemi di storia, metodologica o « antichi-stica », ai quali è dedicata la maggior parte della Guida, potranno in fondo lasciare il lettore indifferente, anche se ne trarrà proficue conoscenze in materia, ammirando l'erudizione degli Autori e del curatore italiano del­l'opera. Sotto quest'ottica la Guida risponderà ottimamente allo scopo per cui è stata concepita. Tuttavia gli interrogativi essenziali e le risposte date sulla figura e sulla missione storica del Nazzareno sono di enorme gravità. Bisogna riconoscere che gli Autori, con estrema onestà, hanno tirato altrettanto  estreme  conseguenze  dal  loro  procedimento  metodo

logico. Il problema è proprio qui, a nostro parere: la Guida di Conzel-mann-Lindemann traccia, almeno per quanto riguarda il metodo della Formgeschichte applicato ai vangeli, le posizioni radicali della scuola bultmanniana, con invidiabile onestà scientifica e rigore metodologico. Si tratta pur sempre di un metodo, che non può essere fatto assurgere al metodo e alla guida nel lavoro esegetico tout court e tanto meno in quello « seminariale ed istituzionale » come si augura il curatore italiano della presente opera (p. XIII). Ci sono troppi contenuti in giuoco e l'acco­glienza bestseller che l'Arbeitsbuch ha riscontrato e tuttora riscontra sul mercato esegetico tedesco, di cui si è parlato all'inizio, non deve abba­gliare. Al più dovrebbe essere il segnale per una certa preoccupazione. Uno degli autori della Guida, H. Conzelmann, avrebbe detto una volta, per scherzo o meno, non importa, — riferiamo secondo le parole di W. Ka­sper — che « die Kirche lebe praktisch davon, dafi die Ergebnisse der wissenschaftlichen Leben-Jesu-Forschung in ihr nicht publik sind » (W. Kasper, « Im Kreuzverhor: Jesus von Nazareth », Weltbild del 27.12.1972 p. 26), ossia che la Chiesa deve tuttora la sua esistenza al solo fatto che i risultati della ricerca scientifica sulla storia della vita di Gesù e, quindi, i risultati della radicale Formgeschichte, non siano ancora diven­tati di dominio pubblico. Avrà Conzelmann voluto ora con la presente Guida verificare la solidità del suo asserto? Come detto, il libro sta an­dando a ruba, anche in Italia. Staremo a vedere se l'antica Roccia, se­gnata da tempeste millenarie, reggerà all'impatto.

 

 


 


 



 
 
 
 
 
 
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