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Recensione: Bougerol J.-G., La théologie de l'espérance aux XIP et XIIP sièctes

 
 
 
Foto Sileo Leonardo , Recensione: Bougerol J.-G., La théologie de l'espérance aux XIP et XIIP sièctes , in Antonianum, 60/4 (1985) p. 700-703 .

Grazie a questo recente contributo J.-G. Bougerol si conferma valente e fecondo maestro di studi medievalistici. Lo scenario intellettuale del Medioevo ora si apre alla visione del pubblico degli studiosi con un ine­dito segno di riconoscimento. Possiamo dire che il suo protagonismo nel panorama della cultura occidentale risulta decifrabile attraverso uno degli aspetti finora in ombra: la riflessione sull'esistenza umana, diramata simul­taneamente nell'orizzonte della concezione religiosa e nelle pieghe della speculazione filosofica. Proprio una riflessione che si specifica nell'im­magine eidetica della  speranza dell'uomo religioso.

L'Autore studia di fatto la progressiva evidenziazione della conce­zione teologica della speranza nel corso dei secoli XII e XIII, vale a dire nell'epoca cruciale dei processi teoretici, non solo di ambito teologico. Le fonti cui attinge, come cespiti di echi e risonanze che si passano il testimone della seconda virtù teologale, sono i grandi maestri e le loro scuole, i « piccoli maestri » e i loro sentieri, ed anche autori anonimi di manoscritti poco noti ma pure interpreti di sentenze e intuizioni pro­mettenti. L'analisi di queste fonti consente la ricostruzione di una vera e propria « mappa della speranza » dei medievali; le valutazioni del Bougerol affidano al lettore uno strumento euristico serio, acuto, esperto.

La qualificazione che più si addice al genere di quest'opera è perciò storico-documentale. La ricerca storica nel volume primo (Études) viene effettuata mediante la sistematica elaborazione dei dati positivi tematiz­zati, e distribuita in otto capitoli. Il vasto bagaglio documentale nel vo­lume secondo (Textes) è fornito in edizione crìtica in serie di due appen­dici, per un totale di ben 46 testi.

Guardando al contenuto, immediatamente in luce è la riconduzione storico-teologica della speranza. L'occhio dei medievoli rimane costante­mente fisso verso il kerigma neotestamentario, quale fondamento dell'ot­timismo cristiano, vincolato alle formulazioni-definizioni, talora anche stereotipe, coniate su 2Cor 3,12, Rom 5,3-5 e soprattutto Ebr 11,1.

La valutazione del dato biblico, contestualizzata nel processo specu­lativo dei due secoli studiati, risulta tuttavia consistente di tutte quelle nozioni che concorrono a ritenere « integrate » sia la referenza teologica che quella antropologica allorché si introduce, anche solo per accenno, il discorso sulla speranza. Cosicché, mentre i primi decenni del secolo XII sono raggiunti dalla piana e mnemonica correlazione mistica delle tre virtù teologali, in dipendenza dal fatto che nel corso dei secoli del­l'alto medievo la comprensione e illustrazione delle medesime virtù si consegnava carente della connaturale strutturazione antropologica, pro­prio a partire dai maestri del secolo XII si è provveduto alla loro critica « integrazione » nell'orizzonte globale dell'esistenza umana. Tanto la fede e la carità quanto la speranza sono pensate all'interno della concezione totale della natura umana capace di relazioni attive con Dio.

Questa operazione di teoresi, a ragione, può considerarsi la teologiz-zazione lucida e organica di un soggetto, quello della speranza appunto, essenziale all'unità e specificazione teologica. Essa, scorrendo l'opera del P. Bougerol, si individua principalmente in due osservazioni. In primo luogo è evidente nella impostazione di una concezione dialettica, comune almeno a tutto il secolo XII e ai primi decenni del XIII, tra la speranza che è originata dalla e nella fede — che è essenzialmente rivolta alla scienza e prescienza dei beni futuri, e la speranza che deriva dall'espe­rienza delle emergenze antropologiche come il gaudio, la tristezza, il ti­more e l'amore: « ... vel etiam per experientiam quando ea quae in nobis sunt sentiuntur a nobis, ut est gaudium, tristitia, timor et amor, quae subsistunt in nobis et sentiuntur a nobis » (Ugo di San Vittore - voi. II, p. 407). In secondo luogo è supposta nel nuovo contesto della metodolo­gia critica assunta dalla scienza teologica scolastica. Giusto quando la teologia « se trouve à un tournant de son évolution en passant de la

thèologie positive à la théologie speculative » (voi. I, p. 9; cf. pp. 159-181), vale a dire al tempo dell'insegnamento teologico universitario, si vede instradata, sotto « l'ambiguité du mot spes », come l'Autore si esprime (voi. I, p. 159), la reciproca assunzione delle nozioni religiose e della psi­cologia filosofica platonico-agostiniana prima e aristotelico-araba poi.

L'ampia antologia di testi scelti ad editati nel secondo volume trac­cia la direzione lungo la quale la teologia della speranza ha assunto una morfologia autonoma e complementare rispetto all'insieme degli approcci della teologia. Dalla sfera etico-nominalista e mistico-affettiva si trasmet­te ormai a quella gnoseologica. Questa fase di maturazione consente al P. Bougerol di affermare che « l'arrivée d'Aristote va permettre de don-ner a l'experance son statut définitif » (voi. I, p. 181), e che, per la critica attenzione prestata prima dal francescano Odo Rigaldi e poi dal dome­nicano Alberto Magno alla « psicologia razionale » dello Stagirita — pene­trata saldamente nelle strutture universitarie — è finalmente giunto il tempo « de la confrontation entre philosophes et théologiens » (voi. I, p. 245). Un confronto, si badi, che accomuna il terreno, rigorizza il metodo e influenza le soluzioni. Perciò a cominciare dal Rigaldi e da Alberto Magno e continuando con Bonaventura e Tommaso la speranza è defini­tivamente assurta al rango d'uno degli « obiecta » che cadono nell'ogget­tivazione gnoseologica della teologia, essendo anche uno degli « acta » manifestativi l'ontologia religiosa (come testi esemplificativi, cf. per Bo­naventura: voi. I, p. 270.388 - nota 22; per Tommaso: voi. I, p. 277.391 -nota 46).

La conferma indiretta alla graduale tematizzazione teologica della speranza ad opera degli insegnamenti abbaziale, cattedrale e infine uni­versitario (in prima linea parigino), si deduce dall'altra letteratura che l'Autore ha vagliata, quella della « religion populaire ». A questo livello, in guisa di parallelo letterario complementare consistente di elaborazioni musive ridondanti di tasselli antologici estrapolati dai libri sapienziali e dalle letterature mistica (san Bernando), patristico-sermocinativa (san­t'Agostino) e scolastica (Pietro Lombardo), si scorge riflessa la conce­zione « positiva » della speranza cristiana (cf. le Distinctiones di Mau­rizio di Provenza - voi. II, pp. 608-617). Come, d'altro canto, «positivo» si presentava il punto di partenza della speculazione concernente sia la caratterizzazione triadica di « spes veniae, spes gratiae, spes gloriae » (cf. voi. I, p. 65-66), in quanto compiutezza di un « bonum » illimitato nella referenza ontologica, sia la dialetticità della intersecazione binaria di storia e metastoria immanente all'esistenza cristiana:   « spes est certa expectatio futurae beatitudinis, veniens ex gratia Dei et ex meritis prae-cedentibus » (cf. pp. 98-99).

Al termine del suo lungo viaggio attraverso il pensiero dei secoli XII e XIII - viaggio annunziato nell'introduzione, l'Autore ha motivi suffi­cienti per giustificare lo sproporzionato interesse che i medievali hanno agitato intorno alla speranza; sproporzionato, però, rispetto alle altre due virtù teologali della fede e della carità (cf. voi. I, pp. 291-296). Si è, tuttavia, del parere che la composita e vasta panoramica testuale offerta con perizia dal P. Bougerol autorizzi la nostra impressione generale. La teologia della speranza, e in certo modo pure quella della fede e della carità (anch'esse in tante circostanze solo prosaicamente più sviluppate), da esiguo e timido ruscello ha dilatato i suoi argini e condotto1 d'impeto le sue acque fino a trasbordare, alimentando la crescita di quanto gra­vita ai bordi delle sue rive. Nei secoli XII e XIII, seguendo lo stesso corso, ritmo e colore della teologia delle virtù teologali è di fatto pro­gredita la riflessione teologica congiunta nelle sue componenti divino-umane; se ciò è stato implicitamente vero dall'alba del pensiero cristiano, adesso è divenuto autocosciente. Il metodo che in questi due secoli si è imposto è stato quello di leggere comparativamente il Libro della Rive­lazione e quello della natura umana, la cui prima applicazione non poteva non riferirsi alla relazione immanente della grazia e della struttura « psi­chica » dell'uomo. A questa stregua anche la trattazione sulla speranza mentre rimane geneticamente connessa all'insieme delle virtù teologali, è già introspettivamente integrata nella filosofia dell'uomo (quella stessa che « positivizza » la Rivelazione), della quale i nuovi teologi del seco­lo XIII sono geniali artefici.

Quest'opera del P. Bougerol oltre a presentare oggi le credenziali adeguate ad una indagine storico-critica di tutto riguardo su una mole di materiale manoscritto inedito e inesplorato, e qui corredato di tutti i sussidi tecnici di utilizzazione, domani si rivelerà un fecondo strumento di lavoro capace di suscitare e controllare nuove ipotesi di analisi storico-filosofica, e storico-teologica. Senza retorica, al P. Bourgerol va il rico­noscimento  di un'ambita e  generosa  qualità:   l'esplorazione   scientifica.



 
 
 
 
 
 
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