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Recensione: LUIGI I. SCIPIONI, Vescovo e Popolo - L'esercizio dell'autorità nella chiesa primitiva {III secolo), Scienze e Religione, 3

 
 
 
Foto Brogi Marco , Recensione: LUIGI I. SCIPIONI, Vescovo e Popolo - L'esercizio dell'autorità nella chiesa primitiva {III secolo), Scienze e Religione, 3, in Antonianum, 56/2-3 (1981) p. 490-491 .

E' negli scritti di S. Ignazio che il termine episkopos appare per la prima volta per designare il capo di ogni singola chiesa locale, organizzata, questa, secondo una struttura verticistica, piramidale, con il vescovo al vertice, seguito dal collegio presbiterale, poi dai diaconi ed infine dai sem­plici fedeli. Questa struttura, che già differisce dalle linee che emergono dagli scritti neotestamentari ed anche dalla Didaché o dal Pastore di Erma, non pare tuttavia che fosse agli inizia del secondo secolo così generalizzata come fa supporre lo stesso S. Ignazio. Essa era certamente già propria della Chiesa di Antiochia, ed anche di qualche altra, ma non si riscontrerà in tutte le chiese locali che nel secolo IV.

Al fine di avviare una ricerca sul processo intercorso dalle strutture neotestamentarie a quelle del IV secolo, l'A. si propone lo studio degli scritti dei Padri di un periodo intermedio, quelli cioè del terzo secolo, per cogliere una fase della suddetta evoluzione. Egli si sofferma sulle Chiese che le fonti ci fanno meglio conoscere, cioè su Cartagine, Roma, Alessandria e sulle Chiese della Siria.

Ogni comunità ecclesiale viene inquadrata nel suo contesto geografico, politico e sociale, cosa che dà rilievo agli eventuali punti di contatto tra le istituzioni civili e quelle ecclesiastiche, punti che inducono a pensare ad un reale influsso di quelle su queste ultime.

Le testimonianze raccolte sono varie: Tertulliano e San Cipriano per Cartagine; Sant'Ippolito e Novaziano, assieme a San Cornelio, per Roma; Clemente Alessandrino, Origene e San Dionigi per Alessandria; le Pseu­doclementine, la Didascalia degli Apostoli e Paolo di Samosata per la Siria. L'ultimo gruppo ci mostra uno stile di governo episcopale monar­chico assoluto, mentre negli altri casi ci troviamo dinanzi a situazioni molto sfumate, con esaltazione di un tipo di governo collegiale che pare tuttavia non più in atto, il quale viene descritto deplorando l'esistenza di uno stile giudicato nuovo ed abusivo, considerato un'innovazione.

Il vescovo idealizzato da quegli Scrittori è un uomo ricco di virtù morali e di dottrina, il quale viene scelto dal popolo per personificare la sua comunità (« si sappia che il vescovo è nella chiesa e la chiesa è nel vescovo »).  Secondo  gli  scritti,  ad eccezione di  quelli provenienti dalla

Siria, egli dirige la sua comunità verso la santificazione governandola in unione con il collegio presbiterale, mentre la comunità che lo ha eletto ha la facoltà di sconfessarlo e deporlo, se la sua condotta o la sua dottrina venissero a deflettere dal giusto cammino.

La trasformazione (ma non sarà piuttosto una « formazione »?) delle istituzioni ecclesiastiche, risalente dunque al secondo e terzo secolo, è avvenuta, come ricorda l'A., a seguito di un processo molto complesso e solo l'esame di questa evoluzione, nelle sue cause e nei suoi fattori, ne può rendere pieno conto. A questo fine, giudichiamo utilissima la presente raccolta di testimonianze. Ma il volume sarebbe stato ottimo se esse fos­sero state presentate con un certo distacco, e l'A. le avesse introdotte con serenità e pacatezza, lasciando poi la parola soltanto a loro, ai Padri. Si tratta infatti di scrittori permeati da un ideale che non soffre costri­zioni, e ciò li rende rigorosi, polemici, contestatori di un mondo diverso da quello che essi sognano. Ma non sappiamo in che misura il loro sogno (e pensiamo in modo particolare ad Origene) possa essere tradotto in realtà in questa nostra Chiesa, se è il campo in cui crescono insieme il buon grano e la zizzania, se è la rete che prende ogni sorta di pesci.

Si ha invece l'impressione che l'A., sebbene non manchi di rilevare la possibilità dei singoli Scrittori di eccedere di rigorismo o di idealismo, si immedesimi poi tanto con loro, da polemizzare pure lui anche quando ci troviamo dinanzi a situazioni pacifiche, com'è il caso di San Dionigi, oppure dinanzi all'esagerato autoritarismo dei siriani (pp. 194, 213 e seg., ...).

Ciò suscita l'impressione, o almeno l'ha suscitata in chi scrive queste righe, che l'A., pur ammettendo alla fine di non aver esaminato che uno degli elementi della suddetta evoluzione istituzionale, e cioè l'atteggia­mento assunto al riguardo dai Padri, esulando dall'intento del suo lavoro l'esame degli altri fattori, che l'A. veda la situazione soltanto con i loro occhi, infervorandosi nella difesa di quest'ottica, che pare l'unica.

Detto ciò, vogliamo ricordare che la presentazione dei Padri, fatta nel contesto già encomiato, è ricca di citazioni che testimoniano dell'ap­profondita dimestichezza dell'A. con i loro scritti, oltre che della sua co­noscenza dell'ambiente religioso e sociale in cui ciascuno di loro visse e scrisse.



 
 
 
 
 
 
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