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Relationes Bibliographicae: I Cristiani in un mondo secolarizzato: la proposta di Charles Taylor

 
 
 
Foto Oviedo Lluis , Relationes Bibliographicae: I Cristiani in un mondo secolarizzato: la proposta di Charles Taylor, in Antonianum, 83/3 (2008) p. 511-523 .

Charles Taylor, A SecularAge, Harvard University Press, Cambridge, MA. London, U.K2007, pp. 874, $39,95, ISBN: 0-674-02676-4.

Charles Taylor è uno dei filosofi viventi più apprezzati negli ambienti di lingua inglese. Egli non fa mistero della sua fede cattolica e partecipa volentieri a tutti i più accesi dibattiti in corso. Forse la combinazione tra cattolicesimo e modernità è proprio una delle caratteristiche più sorpren­denti e feconde della sua opera: il fatto di essere cattolico non lo ha isolato in un ambiente dominato da idee piuttosto estranee alla tradizione cristiana, anzi lo ha reso protagonista della discussione culturale. Il suo impegno ha contribuito al recupero di altre matrici della modernità alquanto trascurate nella cultura dominante, quali la dimensione emozionale e comunitaria della persona, l'inestinguibile domanda di trascendenza e la radice storica di ogni forma vitale. Sicuramente il suo nuovo libro aggiunge un capitolo di grande valore all'analisi della condizione personale e sociale moderna.

La secolarizzazione è sempre più percepita come un processo proble­matico; in realtà, uno dei suoi effetti è che le cose non sono più chiare come un tempo. Tuttavia, in genere essa è stata percepita come uno sviluppo nor­male delle società avanzate. I teologi non l'hanno considerata un pericolo o una minaccia per la fede; al contrario, essi vi hanno visto una opportunità per la Chiesa di maturare e modernizzarsi. Qualcosa è cambiato: l'analisi e riflessione degli ultimi anni hanno posto in evidenza dilemmi, paradossi e pericoli latenti della secolarizzazione (non soltanto per i credenti ma per tut­ti) che incidono, tra l'altro, sulle espressioni culturali e sul mondo dei valori. Nonostante i progressi registrati, siamo ancora lontani dal comprendere le conseguenze di tale processo. Spesso si offrono diagnosi inadeguate riguardo alle cause, agli sviluppi e alle possibili risposte alla crisi religiosa che si abbina alla secolarizzazione sociale. Occorrono ampi studi in grado di approfondire il tema, di illuminarne i vari aspetti e di orientare le risposte.

Il nuovo libro di Taylor costituisce un apporto imprescindibile per com­prendere meglio la secolarizzazione, descriverne i limiti e le debolezze ed elaborare una diagnosi precisa delle circostanze culturali in cui oggi si inscri­ve la decisione religiosa. A un'opera tanto importante si possono applicare diverse chiavi di lettura. In primo luogo, essa presenta un'eccellente storia del pensiero occidentale, dal basso Medioevo fino ai nostri giorni. D'altra parte, essa si propone come un tentativo di ricostruire le cornici culturali che configurano le tendenze sociali e le opzioni personali, una specie di storia della cultura intesa come insieme di "immaginari collettivi". L'opera ammet­te inoltre una lettura in chiave antropologica ed ermeneutica, nell'accezione adottata da Clifford Geertz, quella di una "descrizione spessa" delle diverse concezioni della natura e del significato dell'essere umano, e soprattutto dei valori, dei codici e degli usi che lo definiscono in ogni ambiente storico. Il libro, nei suoi ultimi capitoli, costituisce una profonda revisione delle rela­zioni tra fede cristiana e cultura nelle società avanzate, e una proposta di fede adattata al nuovo ambiente. Ad ogni modo, ritengo che la lettura più ambi­ziosa identifichi delle chiavi universali, quasi degli archetipi cognitivi, sociali e storici, entro i quali si muove la realtà personale, codificabili in antinomie elementari, in dilemmi di senso ultimo e ineludibili.

La presente recensione presenta sistematicamente i capitoli del libro e ricostruisce la trama di una narrazione la cui conclusione non è in assoluto prevedibile. Per questo motivo, seguirò l'ordine dei titoli delle cinque parti che l'opera comprende, dopo l'introduzione che ne espone il programma complessivo. In conclusione, proporrò un commento e una valutazione rela­tiva ad altri possibili tentativi di fare i conti con la secolarizzazione.

Lo studio della secolarizzazione richiede una previa chiarificazione se­mantica, per distinguere i vari significati del termine e discernere quelli più adeguati. Le prime pagine del libro riprendono tre diverse accezioni. La pri­ma implica la separazione dell'ambito religioso dagli altri ambiti sociali; la seconda esprime il calo dei livelli di credenza e di pratica religiosa; la terza, più ideologica, si riferisce al carattere libero dell'opzione credente e alla cre­scente difficoltà di professare la fede nell'ambiente occidentale. Vengono in mente altri tentativi di chiarimento, come quello suggerito da Dobbelaere con i suoi tre livelli: macro, micro e meso. Nella distinzione di Taylor si assume il primo, ovvero quello classico della differenziazione sociale; il se­condo punta piuttosto al livello empirico di quel processo; il terzo, invece,  si avvicina molto al tipo "micro". Ad ogni modo, l'elemento più importante è che, sin dall'inizio del libro, l'enfasi viene posta anzitutto sull'evoluzione del pensiero e delle sue ripercussioni sugli individui, per poi proiettarsi su altri livelli.

Taylor identifica la secolarizzazione come una sorta di "orizzonte di comprensione" in senso molto ampio: un nuovo contesto culturale, tradizio­ni e tendenze più o meno esplicite, nelle quali si inscrive qualunque "espe­rienza morale, spirituale e religiosa" (3). In un certo senso, la sua impresa mira a ricostruire i "mondi di esperienza" o le "visioni" che presiedono alle diverse opzioni, tanto nel senso di credere come in quello di non credere, "come condizioni di vita, e non come semplici teorie o insiemi di credenze in cui c'inscriviamo" (8). Si tratta di "fondi" cangianti che si evolvono nel corso della storia e che l'autore si propone di ricostruire o rendere palesi, al di là del loro carattere presupposto o assunto in modo non-problematico. Taylor dichiara che il suo obiettivo è descrivere la trasformazione da uno stato in cui la fede religiosa era l'opzione normale per tutti al nuovo stato, nel quale quella opzione diviene problematica e persino difficile. Si tratta di un cambiamento radicale, che condiziona tutti i livelli di esperienza e deve essere spiegato in tutte le sue conseguenze.

Naturalmente, la questione semantica esige una migliore descrizione di ciò che s'intende per "religione": essa si associa alla distinzione tra tra­scendenza e immanenza. In questo modo le cose risultano più semplici: la secolarizzazione configura e afferma un orizzonte di immanenza, cioè un ambito nel quale sia possibile raggiungere la piena realizzazione personale entro i limiti del mondo e della storia presente o, in altre parole, l'ideale di un "umanesimo autosufficiente ed esclusivo". Sin dall'inizio, Taylor dichia­ra polemicamente che tale orizzonte non va interpretato come una "storia di sottrazione" o come ripresa di aspetti umani che la fede religiosa aveva relegato a un ruolo secondario, bensì come una serie di nuove proposte che emergono in un momento singolare (22).

1. L'opera di riforma

Taylor inizia la sua narrazione storica con una descrizione dell'orizzon­te culturale dominante in Occidente almeno fino al 1500, allorché la vita umana era integrata nell'ambito di una visione religiosa. Quel mondo aveva la sua propria logica, i suoi codici e i suoi modi di armonizzare struttura e anti-struttura, ordine e caos. L'esempio del Carnevale serve a descrivere un tracciato di secolarizzazione, per quanto il vecchio codice — per poter funzionare - aveva bisogno di una siffatta dinamica di "anti-struttura", mentre il nuovo impone un sistema unico che non ha bisogno di alternativa o dia­lettica, perché si pone come un "codice nuovo e perfetto" (53). Altre linee di analisi dei cambiamenti che hanno segnato quella trasformazione epocale sono il passaggio da un cosmo ordinato e gerarchizzato a un universo dotato di un suo ordine immanente, senza riferimenti a un ordine eterno. Orbene, il cambiamento più importante si situa a livello personale: si tratta del pas­saggio dall'individuo "poroso", ossia permeabile e in continuità col cosmo e la trascendenza, a un individuo "ammortizzato" {buffered), in discontinuità col resto della realtà, e in grado di definire la propria identità. Tutto ciò può essere descritto con il termine weberiano di "disincanto".

Il libro sottolinea un altro fattore storico in quel periodo cruciale: la volontà di riforma all'interno della Chiesa, nel senso di una riorganizza­zione dell'individuo e della società, percepiti come scarsamente idonei agli ideali o alla concezione della fede maturata nel corso del basso Medioevo. Tale ansia di riforma non era solo religiosa, ma si estendeva a tutta la realtà. Tuttavia, alla fine del processo si è affermato maggiormente l'aspetto se­colare, che poneva l'accento sulla realizzazione umana a sé stante (human flourishing), indipendentemente dal riferimento religioso. Il processo può es­sere ora descritto in termini di "razionalizzazione", come ha fatto Weber. In ogni caso, esso appare come la logica continuazione della volontà di riforma manifestatasi nel XVI secolo e che condurrà, nella sua massima espressione, allo "Stato-polizia". Taylor osserva il processo di affermazione della "società disciplinata", che riunisce tuttora la fede religiosa e la ricerca di ordine in uno stesso pacchetto, destinato a combattere caos e ansietà, prospettando un nuovo ideale di "civiltà". Quell'ideale comprende una visione di dominio della natura, il superamento della violenza, nonché nuovi codici di condotta centrati sull'eccellenza personale e il "carattere", guidati da un volontarismo fiducioso. L'ideale dell'ordine assume finalmente un tono nettamente antro­pologico, e si prefigura spesso in termini antagonistici a tutto quanto osta­cola la sua affermazione. L'essere umano si definisce per la sua autonomia e capacità di autocontrollo, non per la sua dipendenza da un ordine superiore. Si tratta del punto di arrivo delfio ammortizzato", dunque separato da un ordine esterno e capace di definire il proprio progetto. Tale definizione passa per un lungo periodo di prove e proposte, in primo luogo nel tentativo di sottrarsi all'influsso dei vecchi ideali e di discostarsi dal precedente ordine morale e sociale, dal cosmo e dalle immagini prevalenti in relazione al bene umano. Inoltre, si mettono alla prova nuovi programmi o "immaginari so­ciali moderni".

Taylor descrive il nuovo ordine o "immaginario alternativo". Innanzi­tutto, esso si propone nel campo morale, che emerge quale risultato di un "contratto sociale" che annulla le gerarchie e promuove un'armonia di inte­ressi. Da questo derivano altri immaginari e pratiche sociali, le cui espressio­ni migliori sono l'oggettivazione dell'economia, la promozione della "sfera pubblica" o di un aperto scambio di informazioni e l'auto-regolazione de­mocratica. Le tre sfere si configurano come altrettante "agenzie collettive", costituendo le basi della società moderna e di un ordine autonomo (181). Tutto ciò contribuisce all'erosione delle idee tradizionali, all'emarginazione dell'ordine divino o delle sue prestazioni fondazionali, dal momento che i tre ambiti si affermano sempre più come capaci di organizzare meglio la società, consumando la tendenza secolarizzante.

C'è qualcosa di weberiano in questa narrazione, giacché l'impulso par­te dall'ansia (naturalmente, nel quadro degli ideali cristiani) di raggiungere l'ordine promesso. La razionalizzazione sembra diventare la chiave di un pro­cesso che si allontana sempre più dalla sua ispirazione religiosa allorché ci si rende conto che, al fine di raggiungere gli obiettivi desiderati, è opportuno liberarsi del fardello dell'eredità confessionale. Tuttavia, Taylor descrive più dettagliatamente tale evoluzione, narra meglio la storia e accentua molto di più il suo carattere cosciente, ideologico, piuttosto che quello strutturale. In questo caso, l'individuo e la coscienza svolgono un ruolo più rilevante.

2. Il punto di svolta

Nella seconda parte l'autore si chiede perché l'umanesimo esclusivo abbia finito per imporsi e per divenire un'opzione maggioritaria, anziché retaggio di alcune minoranze. La prima risposta punta al deismo e al suo tentativo di configurare una religione naturale, che si accordi meglio con gli ideali di ordine moderno, di mutuo rispetto e armonica collaborazione. Ad ogni modo, l'elemento centrale è la svolta antropologica, percepibile in quattro direzioni: la riduzione del progetto umano alla realizzazione perso­nale dell'individuo, l'eclissi della grazia, la perdita del senso di trascendenza e dell'ideale cristiano di divinizzazione. Da ultimo, l'idea di Dio non è più ne­cessaria per concepire l'ordine umano e sociale. Tale percezione, inizialmente riscontrabile soltanto nelle idee di alcune elite europee del XVII e XVIII secolo, ha finito per diventare maggioritaria. Gli ideali dell'urbanità, dell'or­dine morale e della socialità hanno soppiantato quelli dell'onore e dell'eroi­smo, esautorando il fervore religioso per il suo fanatismo e il pessimismo vincolato al peccato, esaltando nel contempo la tolleranza e la benevolenza.

L'ascetismo ha ceduto il passo a ideali di realizzazione personale, alla morale confessionale è subentrata una morale immanente e razionale.

Quel tempo vede la nascita della "storia di sottrazione", ovvero l'idea che la natura umana possa fiorire meglio se liberata da credenze e pratiche tradizionali che offuscano e bloccano le sue fonti di espressione più genuine: una volta "sottratte" le tradizioni repressive, l'essere umano può raggiungere spontaneamente la sua pienezza (253). L'ideale delL'amor proprio" rinchiu­de in sé le condizioni di benevolenza e di vita onesta ed è in grado di fondare un ordine morale autonomo, senza necessità di rinforzi trascendenti. Questa percezione, unitamente alla coscienza del progresso cognitivo promosso dalla scienza, determina una ritirata della religione, in un senso molto simile a quello già descritto da Weber. Tuttavia, a differenza del sociologo tedesco, Taylor insiste sul senso di "potenziamento" {empowermeni) individuale che ha propiziato tale dinamica giustificandone il successo, insieme alla sensazio­ne che le cose funzionassero meglio rispetto alle epoche precedenti, allorché ci si basava su criteri tradizionali.

Taylor è deciso a decostruire la "teoria della sottrazione", per mostrare piuttosto l'elaborazione intenzionale degli ideali illuministi descritti. In pri­mo luogo, egli evidenzia i punti di tensione della proposta cristiana riguardo al modello anteriore. Il passo successivo è mostrare come gli ideali deisti ab­biano avuto incidenze negative su taluni valori del modello cristiano, come quello di comunione, causando un ritorno al tono impersonale del vecchio ordine pagano. La componente impersonale del nuovo ordine riflette una caratteristica centrale della modernità. Taylor propone una genealogia già assai nota per spiegare tale processo di spersonalizzazione, che sarebbe inizia­ta con il maestro francescano Duns Scoto e il successivo nominalismo e che alcuni pongono quale base di tutto il processo di secolarizzazione. La narra­zione mostra in questo caso scenari che producono una certa insoddisfazione - nonostante tutto — dinanzi ai risultati raggiunti, il che dà adito a sviluppi più complessi.

3. L'effetto "nova"

La terza parte espone la graduale espansione dell'umanesimo esclusi­vo, come una sorta di esplosione stellare che si diversifica in varie tendenze, per poi raggiungere finalmente la massa della popolazione. Questa parte si avvale delle tesi già sviluppate nella sua opera Sources ofthe Self. L'idea cen­trale è che, dopo la fine del XVIII secolo e durante tutto il XIX secolo, si sia diffuso un senso di stanchezza rispetto agli imperativi moderni di ordine e disciplina. Emergono allora ideali alternativi che mirano all'autenticità, all'espressione dei sentimenti, all'estetismo, tutti motivi che convergono nel movimento romantico. In principio si percepisce un senso di "vulnerabilità", ma anche di insoddisfazione di fronte all'alternativa tra il vecchio ordine e il nuovo umanesimo esclusivo. Si cerca una "terza via" in grado di dare un nuovo significato a un mondo disincantato e fragile, superficiale e vuoto.

Taylor parla del "malessere" dell'immanenza (malaise); un senso di be­nevolenza pallido e debole, un moralismo scarno, che tuttavia non richiama necessariamente un ritorno alla trascendenza, ma proietta un nuovo orizzon­te di senso. Una risposta punta all'ideale romantico di bellezza, benché tinto a volte di motivi tragici, e presieduto da una forte ambiguità. Un'altra via ricorre a un senso sublime che si scopre nelle dimensioni della natura e allo stupore suscitato dalla sua nuova descrizione in chiave scientifica. Una nuova sensazione di mistero si estende al di là di un'antropologia troppo riduttiva e di un'etica troppo impersonale, esprimendosi quale "spazio intermedio" e "spiritualità indefinita", a metà strada tra ateismo e teismo (360). Nella nuova concezione, l'altruismo naturale assume un tono di eccellenza riguar­do alla morale cristiana. La dimensione morale punta a svolgere un ruolo centrale, in un senso nuovo: di grandezza nell'accettare la nostra condizione entro i limiti descritti dalla scienza. La vita assume in questo contesto un grande significato: ad essa devono servire tutti gli sforzi.

Il primato appena invocato provoca anche un'altra reazione, questa volta dall'interno dell'umanesimo immanente, una specie di contro-illumi­nismo che emerge con toni di protesta e rivolta, e che non dissimula un certo fascino per il potere, la violenza e la morte. Da qui risultano traiettorie diversificate durante il XIX secolo e gli inizi del XX: si riprendono, da una parte, forme di umanesimo illuminista (utilitarismo); si celebrano, dall'altra, le emozioni romantiche e si respingono le etiche della disciplina; inoltre, si registrano esaltazioni ambigue che confluiscono nel parossismo della Grande Guerra, nonché tensioni tra ordine e disordine, che trovano espressione nel fascismo.

4. Narrative di secolarizzazione

La quarta parte espone una revisione di alcune teorie disponibili sul­la secolarizzazione. In essa si rivela l'insoddisfazione dell'autore dinanzi alla scarsa capacità esplicativa della maggior parte di tali teorie, per mirare a una migliore ricostruzione storica. Secondo Taylor, è fondamentale rendere espli­cite le dimensioni latenti del processo (the unthoughi) e decostruire certe assunzioni della teoria classica, che dà per scontati gli effetti negativi della scienza, nonché la cultura del benessere e dell'auto-determinazione. Da que­sto nuovo modo di narrare i fatti emerge un panorama diverso, nel quale una cultura dominante impone determinati gusti e criteri, con conseguenze disuguali. Il paesaggio storico e sociale diventa molto più complesso, benché non intransitabile, e in questo modo si evidenziano le logiche vincolate alle tendenze della credenza e della non-credenza, come una tensione irrisolvibile nella modernità. In ogni caso, la "storia di trasformazione", la storia cioè del passaggio da una cultura credente a una cultura secolare, non è la migliore versione dei fatti: conviene invece prestare attenzione agli spostamenti nella visione del sacro e ai nuovi orizzonti di trascendenza (437). Nella seconda metà del XIX secolo e all'inizio del XX, alcuni scenari testimoniano tale complessità e una moltitudine di transazioni.

Un altro modo di raccontare quel periodo si concentra sulla cosiddet­ta "età della mobilitazione": un impulso generalizzato ad adattare masse di popolazione a nuove condizioni sociali e culturali (445), che può essere indi­viduato in diversi contesti nazionali e in certi fenomeni nell'ambito religio­so, come il moltiplicarsi delle denominazioni negli Stati Uniti, le frequenti conversioni e le forme di revival. Ad ogni modo, tali processi non segnalano un ritorno a vecchie forme religiose, ma esprimono chiare connessioni con le nuove sensibilità e si situano nel complesso quadro delle tensioni esistenti tra le tre forze già indicate: umanista, espressiva ed eroica. In questa stessa corni­ce vanno considerate le forme "neo-durkheimiane" che connettono il senso patriottico e di unità nazionale a un fondo religioso comune o che avvicina tra loro confessioni diverse.

Già nel corso del XX secolo, all'epoca della "mobilitazione" fa seguito quella dell'"autenticità": emergono fattori maggiormente centrifughi, come l'egoismo e l'edonismo, che assumono un tono di legittimità culturale. La dimensione religiosa deve piegarsi alle convinzioni e ai gusti di ciascuno. Sorge il modello "post-durkheimiano", nel quale la dimensione religiosa perde il suo collegamento con la società (490) e il suo valore civilizzatore, caratteristico del passato. La situazione attuale della religione configura vari modelli tra i quali spiccano, da una parte, quello autoritario con le sue forti valenze terapeutiche e, dall'altra, quello della libera ricerca col suo carattere più sfumato e più "comodo". In ogni caso, sembra che i modelli precedenti — quello etnico-nazionale e quello morale-mobilizzatore - non funzionino più, e il panorama si fa molto più ambiguo e indefinito. Si va imponendo la cultura dell'autenticità e della ricerca personale, che di solito non danno ori­gine a nuove forme religiose di carattere istituzionale. La situazione sembra favorire un ulteriore declino della religione, dal momento che la nuova cul­tura si scontra con le forme religiose che vanno in senso opposto. O forse no. L'autore riconosce un limite all'idea di crisi generalizzata quando contempla il caso dell'America del Nord (530). Una possibile risposta può venire dal fatto che la sete di trascendenza continua a essere presente in molti, il che si traduce in forme di "religiosità minima" o "vicaria", ma non si estingue. Taylor è convinto del fatto che la narrazione standard sulla secolarizzazione moderna sia sempre più contestata e che ciò possa aprire nuovi orizzonti di ricerca (535).

5. Condizioni della credenza

L'ultima parte dell'opera si apre con una descrizione della cosiddetta "cornice immanente", ossia il fondo o orizzonte in cui s'inscrive la nostra co­noscenza della realtà. Si tratta di una condizione quasi "naturale", prodotto dell'evoluzione moderna, alla quale contribuisce certamente il successo della scienza e che esclude la dimensione trascendente (542). Per Taylor quella cornice rimane aperta e non è così ovvia quando si percepisce, per esempio, la necessità di evadere dalle "strutture chiuse del mondo" (forse la "gabbia di ferro" di Weber). La decostruzione di tali strutture pone in evidenza i valori e le opzioni soggiacenti, lontani da un ideale di neutralità. Non è che il vecchio ordine morale si sia dovuto "piegare ai fatti", ma "una visione morale ha ceduto il passo a un'altra" (563). La visione immanente non è più "naturale" né scientifica, è solo un'opzione possibile che le nuove condizioni storiche e culturali rendono più normale, ma non impongono come l'unica, anche perché è relativamente facile evidenziare i limiti o le insoddisfazioni che essa continua a provocare. L'idea della "morte di Dio" non è una con­seguenza dell'evoluzione delle cose, bensì di nuove proposte ed elaborazioni che semplicemente acquistano una certa "aura" di riuscita storica. D'altra parte, l'evoluzione moderna delle forme religiose è molto più complessa di quanto non affermi la versione standard della sua opposizione al progresso e alla realizzazione personale.

Il presente si pone come uno scenario nel quale s'incrociano diverse ten­sioni, che danno origine a una serie di dilemmi. Il fatto che nel nuovo contesto non sia possibile sostenere le vecchie forme religiose (ormai profondamente destabilizzate), oltre a creare una frammentazione religiosa e una notevole in­stabilità, dà luogo a una ricomposizione e a nuove proposte (594).

A partire da questi dati, Taylor propone la sua riflessione più originale e provocatoria, almeno sotto il profilo teologico. La tesi centrale può essere formulata in questi termini: nella situazione attuale la fede religiosa deve confrontarsi costantemente con opzioni secolari o immanenti, senza poter rivendicare soluzioni sicure. Le proposte cristiane diventano — agli occhi dal­l'autore — precarie e perfino inefficienti; spesso gli sviluppi secolari apportano maggiori vantaggi per tutti. La fede cristiana viene dunque vissuta come una scissione, in una specie di "conflitto di interessi" o di "né con te né senza te", il che colpisce anche la cultura secolare e le sue pretese.

Come si può intuire, è più agevole descrivere la situazione sulla base dei dilemmi derivanti dalle forze incrociate che presiedono alla coscienza con­temporanea. Spesso gli abitanti di questo mondo in tensione si sentono co­stretti a combinare tendenze che prima sembravano contrapposte, o avevano un proprio ambito particolare. Ora le posizioni diventano più instabili e le combinazioni più probabili; l'austera visione scientifica reclama in molti casi la responsabilità morale o l'espressione artistica e, perché no, la trascendenza o l'aspirazione alla riconciliazione e alla totalità.

Il resto della quinta parte espone i dilemmi centrali che derivano da questa situazione scomoda, in cui nulla è deciso, né per il credente né per l'umanista secolare. Una prima tensione si stabilisce tra la visione terapeu­tica e quella spirituale, e si esprime in diversi modi: tensione tra il servire le necessità umane più elementari o l'aprirsi alla trascendenza, che è qualcosa di necessario per molti; tra vitalismo e senso tragico; tra auto-affermazione e sacrificio. La presa di coscienza di tali dilemmi e, segnatamente, del proble­ma della violenza e delle sue radici religiose comporta inevitabilmente una revisione delle idee teologiche tradizionali, che spesso costituiscono "versioni chiaramente erronee della fede cristiana" (643). Ne consegue uno statuto di fallibilità nell'elaborazione teologica, la cui condizione è "operare con una certa proporzione di poca chiarezza e confusione" (643). Taylor svaluta con­sapevolmente - alla luce delle nostre idee più mature — una teologia troppo sicura di sé. Le proposte tradizionali perdono, in buona misura, la loro va­lidità una volta che si evidenzi il loro sfasamento rispetto a esigenze moder­ne più plausibili. Lo stesso problema della sofferenza e le sue spiegazioni mostrano un lato debole che non può imporsi come la soluzione migliore o come quella più "completa" in senso epistemologico, alla luce di molte am­bivalenze e dilemmi ineludibili. Questa situazione lascia ai cristiani, un po' perplessi e limitati, ormai privi di soluzioni definitive (675), una debolezza che non dovrebbe essere soltanto negativa.

Le ultime sezioni del libro danno una chiara impressione di "decostru­zione" delle idee cristiane tradizionali, cioè di una critica che mostra motivi nascosti o rimossi e rivela gli aspetti negativi. Taylor applica il suo acido critico alle idee di matrice cristiana nello stesso modo in cui "decostruisce" le visioni e i programmi della "cornice immanente" o secolare. Tutto è am­bivalente e cessa di avere valore assoluto. Le diverse esperienze storiche del XX secolo dimostrano le limitazioni intrinseche a tutto il progetto cristiano di riorganizzazione e trasformazione sociale: il senso del tempo presenta dei limiti; l'esperienza di conversione non punta sempre nella giusta direzione; i progetti umanisti cristiani, la necessità di organizzare l'amore di agape... tutto presenta inconvenienti e obiezioni. Il profondo dialogo che l'autore stabilisce con molti dei protagonisti del malessere che affligge il credente mo­derno riporta casi esemplari. "Quanto più si riflette, le facili certezze di ogni propaganda {spiri), trascendente o immanentista, vengono indebolite" (727). Taylor evoca un futuro nel quale nessuna delle due tendenze predomina e nel quale si apre uno spazio per la trascendenza come aspirazione alla totalità, oppure come fuga dinanzi alle tendenze all'omogeneizzazione.

L'epilogo sorprende il recensore nel rivendicare la ricostruzione storica di Milbank e della sua Radicai Orthodoxy come complementare della pro­pria, e perfino accettandola con "grande simpatia" (772). A mio giudizio ci può essere convergenza per quanto concerne l'analisi storica, ma le conclu­sioni e le proposte dei due autori non potrebbero essere più diverse e persino escludenti, il che lascia un alone di sospetto attorno a tale pretesa affinità.

Alcune considerazioni a margine

L'opera di Taylor offre una vasta panoramica sull'evoluzione della non­credenza in Occidente, fino al momento in cui essa raggiunge un predo­minio culturale. L'autore propone una narrazione, seguendo una trama che punta a una conclusione incerta. Nonostante l'immenso sforzo di erudizione e di ricostruzione storica, gli studiosi della secolarizzazione potranno resta­re insoddisfatti, a motivo del carattere esclusivamente ideologico di questa versione dei fatti, che non è affatto l'unica possibile, né probabilmente la migliore, qualora si tenti di stabilire le cause e lo sviluppo di quel processo. L'altra grande narrazione, qui assente, è quella di tipo strutturale o sistemica, che osserva la secolarizzazione come risultato di processi sociali dotati di una logica interna, non sempre riducibile alle sue "semantiche culturali", alle for­me più consapevoli della storia del pensiero o ai casi più paradigmatici.

Inoltre, negli ultimi anni lo studio dei processi di crisi religiosa è stato arricchito dall'apporto di studi sociologici, economici e istituzionali. In al­cuni casi, tali studi si avvalgono dell'assioma della "decisione razionale" che apporta un'interessante capacità esplicativa, soprattutto in casi come quello americano, che Taylor osserva con perplessità, come "una scheda che non s'incastra". Gli studi istituzionali hanno rilevato dinamiche di secolarizzazio­ne interna che non dovrebbero essere ignorate qualora si desideri ottenere un quadro più completo. Certamente non facciamo conto su una "teoria unifi­cata e completa" della secolarizzazione, ma su diverse narrazioni che tentano di illuminare aspetti parziali. Ad ogni modo, la procedura seguita da Taylor suscita alcuni dubbi e questioni non trascurabili, allo stesso livello in cui egli opera, ovvero quello ideologico e intenzionale.

Sicuramente la storia che narra ha un precedente chiaro in Max Weber e nella sua ricostruzione del processo di secolarizzazione occidentale come razionalizzazione differenziata, e conseguente disincanto, che è soprattutto un effetto della scienza. Tuttavia, ciò che risulta problematico è la possibilità di ricostruire una genealogia che faccia risalire a cause molto lontane processi che risultano da una grande complessità di fattori. Già Popper metteva in guardia contro i pericoli delle "teorie della cospirazione storica", come quella proposta da Milbank, attribuendo a Scoto e ad altri maestri francescani la responsabilità degli sviluppi più negativi del pensiero moderno. Ci si sarebbe aspettati un atteggiamento più prudente da un filosofo assai più maturo e consapevole dei livelli di contingenza presenti in ogni processo storico, risul­tato di un gioco di variabili non sempre collegabili ad antecedenti storici o ideologici.

Come che sia, la sfida principale lanciata da Taylor negli ultimi capitoli ha a che vedere con la pretesa simmetria tra i limiti dell'umanesimo secolare e del modello cristiano. Non sembra una manovra molto leale, specialmente se si applicano certi parametri. Dal mio punto di vista non si dà tale simmetria, bensì un peso maggiore di negatività nei progetti puramente umanisti, o in genere nelle proposte sorte da uno schema interamente secolare; la storia dei disastri del XX secolo è rivelatrice a tale riguardo. E comunque l'autore do­vrebbe essere consapevole del fatto che la fede consiste proprio nel rompere tale simmetria o ipotetico equilibrio, per concedere più plausibilità, capacità euristica ed efficacia antropologica e sociale alla proposta cristiana. Ciò non implica un annullamento della dimensione del dubbio e della ricerca.

Certamente è salutare rivelare i limiti dei programmi cristiani moderni e rendere conto dell'intrinseca debolezza di ogni teologia, ma non ritengo giusta una critica che sovente traspone il tema religioso in altre dimensioni; sarebbe come giudicare un medico per la sua capacità di suonare il violino o di pronunciare un'arringa politica. Taylor dà l'impressione di non aver chiare le conseguenze dei processi di differenziazione: ogni sottosistema sociale si specializza in un settore e opera all'interno di un codice limitato. Quello della religione è la comunicazione di trascendenza, e non la trasformazione politica o la gestione economica. Taylor ha invece ragione allorché evidenzia i limiti del programma cristiano quando questo tenta di applicarsi a campi che esulano dalla sua competenza, quali quello politico, o di organizzare la vita comune e personale. Tuttavia ritengo che l'autore faccia ancora riferi­mento all'ambito di uno schema mentale tipico del "cattolicesimo organico", che egli definisce giustamente come inadeguato e che presenta lacune insor­montabili in un contesto di modernità. Non credo che questo sia l'unico modo possibile di capire il cristianesimo e neppure il cattolicesimo: tra i due estremi di un cristianesimo liberale e secolarizzante e dei progetti organici di ripresa globale della rilevanza cristiana (Milbank) si danno alternative e vie intermedie che mirano piuttosto a far leva sulla propria competenza fonda­mentale: la comunicazione di trascendenza e di salvezza in senso definitivo. Sicuramente, se si osservano le cose in modo diverso e si narra la storia in un'altra prospettiva, si potrà imparare da Scoto e da altri maestri francescani, lontani degli ideali tomistici, che esistono alternative per la fede anche quan­do la ragione assume la sua legittima autonomia e la prospettiva di un ordine trascendente va sfumando.

Nel fondo dell'opera di Taylor si percepisce un hegelismo troncato, che si esprime nei diversi scenari di una dialettica non riconciliata tra la tesi cri­stiana e l'antitesi umanista secolare, proiettandosi in una storia della ragione in costante tensione e ancora incompiuta. Si tratta di un modello possibile che mostra la fecondità dell'eredità del maestro tedesco. Ma forse questo è il massimo che si può offrire: una serie di modelli ipotetici per organizzare una storia che spesso sfugge alle costruzioni razionali.

Per il resto, il libro di Taylor dovrebbe costituire una preziosa occasione per approfondire il tema della secolarizzazione, le sue cause e conseguenze, e per esporre strategie realistiche in grado di fargli fronte. In tal senso, è ormai tempo di abbandonare diagnosi semplicistiche sulla crisi religiosa attuale e i suoi possibili colpevoli, per avviare una riflessione più serena ed efficace, in grado di fornire alla Chiesa idee pertinenti e la mobilitazione necessaria in un periodo assai difficile.



 


 


 


 


 



 
 
 
 
 
 
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